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La verità sulle terapie intensive: il numero di ingressi giornalieri è doppio rispetto ai bollettini. Gimbe: «La mancanza di dati è inaccettabile»

10 Novembre 2020 - 09:46 Redazione
Dalla pubblicazione quotidiana dei bollettini, si può dedurre soltanto l’incremento dei posti occupati in terapia intensiva. Non si può conoscere, invece, quanti sono effettivamente i nuovi ingressi, al netto dei pazienti intubati che sono deceduti o guariti

Non è una novità che i dati comunicati nel bollettino della Protezione civile e del ministero della Salute siano parziali e insufficienti per approfondire molte questioni legate alla pandemia di Coronavirus. Che, però, a distanza di quasi dieci mesi dal cosiddetto paziente uno di Codogno non si sia risolto il problema, lascia interdetti molti esperti, chiamati a comunicare ai cittadini la situazione epidemiologica nel Paese. «La mancanza di questi dati è inaccettabile», afferma Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, al Messaggero.

«Da mesi stiamo chiedendo – i dati sulle terapie intensive -, ma neppure sappiamo se esistano. Ogni giorno viene semplicemente comunicato un saldo, che ci fa comprendere la percentuale di occupazione dei posti di terapia intensiva. Certo, è utile. Ma non basta. Paradossalmente quel numero è più basso se muoiono molti pazienti. Invece, avere un dato puntuale dei flussi in entrata e in uscita, aiuterebbe a comprendere meglio l’andamento dell’epidemia», aggiunge Cartabellotta.

Ad oggi, non è possibile sapere quante persone, ogni giorno, entrano in terapia intensiva. L’unico dato pubblico sui reparti dove si curano i pazienti più gravi che hanno contratto il Coronavirus è relativo al saldo. Ovvero: quante terapie intensive sono attualmente occupate, sommati i nuovi ingressi e sottratte le uscite dai reparti? Questo numero, però, non permette di ricavare altri elementi utili a comprendere l’andamento dell’epidemia: quante persone muoiono dopo essere state intubate? Quante, invece, riescono a guarire dalla Covid-19?

Parametri diversi da Regione a Regione

«Secondo me è un errore – chiosa Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova -. Ma c’è un altro problema: non c’è omogeneità tra i dati delle diverse Regioni. Nei differenti territori si utilizzano criteri per la classificazione di un paziente in terapia intensiva o in sub intensiva, che non coincidono. Consideriamo solo chi è intubato? Chi ha la respirazione assistita con il casco come viene contato? Quali sono i criteri di ospedalizzazione? Da Regione a Regione ci sono parametri non uguali».

I nuovi ingressi in terapia intensiva sono circa il doppio del numero deducibile dai bollettini

Una confusione in termini statistici e di monitoraggio al quale si può sopperire solo con qualche stima. Sono molti gli esperti, tra cui lo stesso Bassetti, a ritenere che il numero di nuovi ingressi nei reparti di terapia intensiva sia pari allo 0,5% circa dei casi positivi giornalieri. Allora, prendendo l’ultimo dato non condizionato dal crollo dei tamponi del weekend, quello del 7 novembre, il calcolo da fare è il seguente: lo 0,5% dei 39.811 contagi è circa 200. Quasi il doppio dei 119 nuovi posti occupati in terapia intensiva, unico dato calcolabile dalla semplice sottrazione tra il numero attuale e quello del giorno precedente.

La scorsa settimana, scrive il Mauro Evangelisti del Messaggero, «esattamente da sabato 31 ottobre a sabato 7 novembre sono stati occupati 841 posti in più di terapia intensiva, ma i pazienti che sono realmente finiti intubati sono circa 1.4001.500». Purtroppo si tratta solo di stime, senza alcun riscontri nei dati resi pubblici dalle autorità. E il dubbio è che queste informazioni relative alle terapie intensive non vengano proprio raccolte. «Invece – conclude Cartabellotta – servirebbero dati certificati e costanti».

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