In Evidenza Benjamin NetanyahuDonald TrumpGoverno Meloni
LE NOSTRE STORIECoronavirusInfermieriIntervisteSanità

Picco di contagi tra medici e infermieri: «Peggio che nella prima fase. Su di noi un “controllo allegro”»

12 Novembre 2020 - 06:49 Fabio Giuffrida
Carenza di tamponi, disorganizzazione e stress. Ecco cosa non sta funzionando e perché medici e infermieri continuano ad ammalarsi

Medici e infermieri continuano ad ammalarsi di Coronavirus. Chiedono un nuovo lockdown perché le strutture ospedaliere sono al collasso e perché mancano personale e posti letto. Problemi che si ripercuotono per intero sul personale sanitario. A raccontarcelo è Lorenzo Sgherri, infermiere che lavora al 118 di Firenze secondo cui i problemi di questa seconda fase sono essenzialmente due: «La mancanza di medici di famiglia disposti ad aiutare i pazienti a domicilio e il sovraffollamento degli ospedali. Noi come 118 a volte non sappiamo nemmeno dove portare i nostri pazienti perché le strutture sono piene. Un posto, alla fine, lo troviamo. Per ora. Ma, sia chiara una cosa, questa è una guerra».

Le mascherine ci sono, i tamponi no

Le mascherine, almeno quelle, stavolta ci sono a sufficienza a differenza della prima ondata in cui soprattutto gli infermieri erano stati mandati allo sbaraglio contro un virus che nemmeno conoscevano. «Certo, oggi continuano a non farci i tamponi. Sono previsti solo per chi è stato a contatto stretto con un positivo o per chi ha sintomi riconducibili al Covid. Al massimo veniamo sottoposti a un sierologico ogni due mesi. In altre parole, c’è un controllo “allegro”».

A Davide (nome di fantasia, ndr), giovane infermiere che lavora in un ospedale della Lombardia e che ci ha chiesto l’anonimato, è stato fatto solo un tampone in questi otto mesi. Niente di più: «Non vogliono farceli perché hanno paura di trovare tra di noi un numero elevato di positivi. E, di certo, con la carenza di personale che c’è, non possono farci stare a casa. Occhio che non vede, cuore che non duole. Poi chi cura i pazienti? Lasciamo la gente morire?». Per questo motivo – ci confida – «c’è un forte senso di rabbia e frustrazione dovuto al fatto che nulla è stato fatto in questi mesi».

«I pazienti ci dicono: “Non ho rispettato le regole”»

Una situazione che sembra essere «peggiore della prima» con «un virus che non è cambiato» ma che ora preoccupa sempre di più: «Ci siamo ricascati, purtroppo la soluzione resta quella di chiudere tutto come a marzo», ha spiegato Lorenzo Sgherri. Per Davide, invece, una chiusura totale servirebbe a poco: «Il problema è che gli italiani stanno sottovalutando il problema. Sa quanti pazienti ci dicono, una volta arrivati in ospedale, “sono stato un cogli*ne, non ho rispettato le regole”? E intanto, in trincea, ci siamo noi che, mentre i malati piangono e ci chiedono aiuto, dobbiamo intubarli. Soffriamo tantissimo».

Insomma, stanchi, sotto stress e con il rischio di fare male il loro lavoro: «Ogni infermiere in Lombardia – continua Davide – gestisce tre pazienti intubati nelle intensive mentre nei reparti ordinari addirittura 10 ciascuno, tutti con C-PAP (il casco che viene messo ai malati per consentirgli di respirare, ndr). Quindi, se sto seguendo un caso grave, rischio di trascurare tutti gli altri. Ma si può?».

Il nodo medici di famiglia

Quello che più fa arrabbiare Lorenzo Sgherri, invece, sono le eccessive chiamate al 118 da parte di pazienti che potrebbe essere curati a casa, senza bisogno di ricorrere ai ricoveri ospedalieri: «Sa cosa ci dicono? Che i medici di famiglia non vogliono andare a domicilio, in altri casi ci raccontano di aver ricevuto una terapia per sette giorni ma all’ottavo giorno, stremati, chiamano noi. Per carità, i medici di famiglia avranno anche le loro ragioni, hanno paura del virus ma così non si può continuare. Non possiamo sopperire noi a tutti i problemi».

Perché gli infermieri si ammalano

E allora come mai sono ancora così tanti gli infermieri che si ammalano? «Perché spesso cala la soglia di attenzione dopo ore di lavoro», ci dice Lorenzo. Secondo Mario De Santis, invece, referente in Campania del Nursing up, sindacato degli infermieri italiani, questa situazione è dovuta anche all’«impreparazione e alla paura degli infermieri e alla disorganizzazione» di chi dovrebbe coordinare l’emergenza: «Se spostano infermieri da reparti, ad esempio di ortopedia, a quelli di malattie infettive, è chiaro che questi non siano preparati. Non ci si improvvisa e non è possibile che spieghino in un quarto d’ora la vestizione per entrare in un reparto Covid». «Finiremo che, anziché chiudere bar e ristoranti, chiuderemo gli ospedali», tuona.

A questo si aggiungano i turni massacranti. Per Davide pesano «i giorni di riposo che saltiamo ogni settimana, i doppi turni, la sospensione delle ferie, non ci fermiamo più un attimo»: «Noi stiamo combattendo contro un nemico invisibile, una guerra batteriologica dove medici e infermieri hanno il compito di curare i feriti. Questa è la verità», conclude.

Foto in copertina di repertorio: ANSA/ANGELO CARCONI

Continua a leggere su Open

Leggi anche:

Articoli di LE NOSTRE STORIE più letti