Ospedale Fiera Milano, 88 posti letto per la prossima settimana. Ma manca il personale: «Abbiamo più pazienti e meno medici»
È stata una parabola inaspettata quella dell’Ospedale in Fera a Milano. Quella che era stata pensata per essere la soluzione d’emergenza in Lombardia durante la prima drammatica ondata di Coronavirus – e che sarebbe dovuta essere smantellata in estate – trova nuova vita in questi mesi autunnali. Ora le sfide che i medici del Policlinico di Milano e delle altre 6 strutture coinvolte si trovano davanti sono molto diverse da quelle della primavera. E, insieme ai pazienti, sono raddoppiate anche le difficoltà. Quando il 31 marzo l’Ospedale in Fiera era stato inaugurato, il numero di pazienti in terapia intensiva ricoverati in Lombardia stava iniziando a scendere. Il 6 aprile, giorno dell’arrivo del primo paziente, il picco dei 1.600 posti letto toccati in Regione stava ormai diminuendo da 3 giorni. Le tempistiche sbagliate fecero esplodere le polemiche sull’effettiva utilità della spesa: i pazienti trasportati all’interno dei padiglioni appena nati erano molti meno di quanti se ne aspettassero (circa una ventina). Nonostante questo, l’equipe del Policlinico – che oggi come allora ha in gestione la struttura – poteva contare sul sostegno di numerosi medici provenienti dagli ospedali di tutta Italia, soprattutto da quelle aree che non stavano vivendo l’emergenza in prima persona.
Dal 22 ottobre, data di riapertura dell’ospedale, sono stati ricoverati circa 70 pazienti: tra loro sono stati registrati 4 decessi e 9 sono stati già trasferiti in altri reparti. I medici hanno dovuto bruciato le tappe. I primi 23 pazienti sono arrivati nell’arco di una settimana e, a 20 giorni esatti dalla ripartenza, sono stati occupati 60 posti letto. Dagli 8 medici e 15 infermieri messi a disposizione dal Policlinico il primo weekend, si è arrivati progressivamente a 60 medici e circa 130 infermieri. Entro la prossima settimana, se le cose continueranno a questo ritmo, si arriverà ad avere un totale di 88 posti letto operativi. Attualmente, le equipe mediche in Fiera provengono tutte da ospedali pubblici: Policlinico (14 medici), Niguarda, San Gerardo di Monza, Varese e Brescia. Da lunedì 16, poi, ad avere in gestione i nuovi moduli dovrebbero essere due grandi gruppi privati: l’Humanitas e il San Raffaele.
Il problema del personale e il sistema di trasferimento di medici e infermieri
«La differenza rispetto alla scorsa primavera è che allora c’erano 100 professionisti sanitari tra medici e infermieri reclutati da tutto il Paese», ha spiegato Nino Stocchetti, responsabile del padiglione Policlinico in Fiera, durante la conferenza stampa organizzata nell’ospedale oggi, 12 novembre. «Avevamo tantissimi aiuti esterni. Ora a soffrire non è più solo la Lombardia, ma tutta Italia. E nessun ospedale può svuotarsi di personale per venire a riempire i nostri moduli». Il rapporto medici/pazienti da rispettare è quello stabilito dalla Regione – 1 medico e 3 infermieri 2 pazienti. Come fare, quindi? Resta in piedi il solito problema, che con i medici e i sanitari che lavorano c’entrano poco: l’organico è poco. Per rimediare, la Regione (che non ha previsto un piano di assunzioni) ha disposto che, a seconda dei pazienti e del carico nei vari ospedali del territorio, arrivi personale da altre strutture. In totale in Fiera ci sono pronti e attrezzati 157 posti letto, ma si dovrà inevitabilmente procedere a seconda dei medici disponibili. Il rischio è quello di privare strutture in difficoltà (proprio come quella di San Gerardo a Monza) di una quantità sufficiente di personale.
Il meccanismo è quindi quello della ridistribuzione: per riempire la squadra del Policlinico, per esempio, sono stati chiamati medici da ospedali più piccoli, come il Pini e la struttura di Lodi, che per ora ne ha forniti 3. Tra loro c’è anche la dottoressa Annalisa Malara, la prima in Italia ad aver avuto l’idea di fare il tampone Covid-19 al suo paziente. «L’obiettivo è arrivare a 100 medici nel breve periodo», ha spiegato ancora Stocchetti. «A livello teorico il personale c’è, ma bisogna capire di volta in volta da dove prenderlo». Il lavoro che i sanitari stanno facendo nonostante le difficolta è eccezionale. «La preoccupazione principale resta quella di non sguarnire gli altri ospedali», dice Stocchetti. «È vero che indeboliamo le altre strutture. È innegabile. Ma è anche vero che l’Ospedale in Fiera è un ospedale attrezzatissimo, e che lavorare su grandi numeri con strutture adeguate è meglio che lavorare su pochi pazienti in maniere emergenziale».
I pazienti
Per quanto riguarda l’arrivo dei pazienti, tutto è gestito dal centro di coordinamento regionale, che si occupa di inviare in un determinato ospedale a seconda del carico e delle disponibilità. Quasi tutte le persone che vengono ospitate in Fiera sono pazienti intubati nei vari pronto soccorso. Nicola Bottino, medico responsabile del modulo Policlinico in Fiera, ha confermato quanto era già chiaro: «Il virus è lo stesso di marzo», dice. «L’unica cosa che cambia è che possiamo prenderlo in tempo». «La degenza resta comunque lunga: il primo paziente che abbiamo dimesso dalla terapia intensiva aveva passato 18 giorni intubato». L’unica differenza riguarda l’età, che si sta abbassando: attualmente, metà dei pazienti è sopra i 64 anni e meta sotto. Per il resto, l’identikit del malato grave è più o meno lo stesso della primavera: maschio e con patologie pregresse.
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