Coronavirus, i numeri in chiaro. Sebastiani: «Rischiamo 5 mila persone in terapia intensiva entro tre settimane»
Sono oltre 40 mila i nuovi positivi al Coronavirus nelle ultime 24 ore e 550 i decessi registrati dalla Protezione civile. Però, stando a quanto dichiarato da Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di Prevenzione del ministero della Salute, il tasso di trasmissibilità del virus (Rt) dovrebbe essere diminuito rispetto alla scorsa settimana. Rimane comunque superiore alla soglia dell’1. Inoltre, preoccupa anche il numero significativo di ricoveri e di decessi. Ma, come spiega a Open il matematico Giovanni Sebastiani, ci sono alcune ragioni per essere ottimisti.
Professore, le risulta che l’Rt sia diminuito?
«Diciamo che il dato è in linea con la percentuale dei positivi sui casi testati. Da due settimane circa tre indicatori chiave – oltre alla percentuale di positivi anche i ricoverati con sintomi e i pazienti in terapia intensiva – hanno smesso di accelerare. I positivi sui casi testati invece sono addirittura in decelerazione».
A quanti siamo?
«Adesso siamo a circa il 28%. La settimana scorsa eravamo attorno al 26%. Quella ancora prima erano al 23% circa. Quindi aumentano, ma sempre di meno rispetto al passato».
E per quanto riguarda le terapie intensive?
«Fino a quattro giorni fa la crescita era lineare con un aumento medio di 100 posti al giorno, ma aveva smesso di accelerare. Ad ogni modo la fine dell’accelerazione di tutti e tre gli indicatori – percentuale di nuovi positivi, ricoverati con sintomi e ricoveri in terapia intensiva – può essere attribuito alle restrizioni introdotte nel corso dello scorso mese e all’inizio di quello corrente. In particolare l’utilizzo di mascherine all’aperto e l’introduzione della didattica a distanza».
Perché allora fare nuove restrizioni allora come dice Rezza?
«Perché la curva dei nuovi contagi si sta appiattendo, ma molto lentamente. Per quanto riguarda i ricoverati in terapia intensiva tra tre settimane potremmo superare tranquillamente i 5mila pazienti. Inoltre, adesso c’è un’estensione maggiore nei positivi e nei ricoveri rispetto alla prima fase».
Perché ci impiega così tanto ad appiattirsi?
«In parte è dovuto ad una grande estensione geografica, in parte ad un’eterogeneità nei comportamenti, che sono inoltre meno rigorosi rispetto alla prima fase del lockdown. Nella prima fase l’appiattimento della curva dei contagi precedeva di una settimana quella dei ricoveri con sintomi, invece adesso l’anticipo è maggiore».
Bisogna anche dire che non sappiamo con precisione quante persone entrano ed escono dalle terapie intensive tutti i giorni.
«Abbiamo soltanto il numero complessivo di occupazione giornaliera ma i dati non sono in relazione diretta al numero giornaliero dei decessi. L’entrata nelle terapie intensive probabilmente è molto più alta».
A proposito di decessi, continuano ad essere molto alti. Oggi 550, ieri 636. Quando cominceranno a scendere?
«I decessi sono l’ultima cosa che si stabilizzano perché c’è un grande ritardo. Il tempo tra la diagnosi e il decesso è di circa 12 giorni, ma la variabilità è grande. Potrebbe passare ancora un mese prima che tornino a un livello più basso».
Cosa si può fare in più?
«Bisognerebbe agire in tutte le grandi città dove c’è una grande densità, chirurgicamente, con misure ancora più strette. Però la vera ricetta è “a fisarmonica”, con, ciclicamente, una diminuzione della mobilità e del numero di contatti, non appena si presenta una crescita esponenziale del contagio, per poi allentare la pressione non appena l’incidenza cala. Ma per questo bisognava agire prima».
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