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1.590 pazienti per un medico di base. La storia di Domenico Crisarà: «E vengo accusato di non fare nulla»

14 Novembre 2020 - 08:15 Fabio Giuffrida
La medicina territoriale si è rivelata un flop ma la colpa è davvero dei medici di base? O, come appare sempre più evidente, qualcosa non sta funzionando? La storia di Domenico Crisarà, 59 anni, medico di famiglia a Padova

Il sistema è andato in tilt, questo è un dato di fatto. La medicina territoriale ha fallito ma, di certo, non per colpa dei medici di famiglia, lasciati da soli in questa difficile battaglia contro il Coronavirus. Il dottor Domenico Crisarà, ad esempio, medico di base a Padova, ha 1.590 pazienti di cui 20 con assistenza domiciliare, che deve visitare almeno due volte a settimana, perché soggetti fragili, molti con tumore. «Se mi ammalo e poi vado a visitarli, cosa succede?», si domanda. La risposta, durissima, è molto semplice: rischiano di morire.

Intanto, insieme alle sue segretarie, ogni giorno è alle prese con centinaia di telefonate: «Io ne faccio almeno 40 al giorno e sono al lavoro dalle 9 del mattino alle 10 di sera, senza sosta. Faccio anche visite a domicilio ma non certamente a chi è positivo al Covid. Ho una famiglia: padre, madre e due figli che hanno contratto il virus. Posso mai andare da loro? In un luogo ad alto rischio?».

189 medici morti nel corso dell’epidemia di Covid

E se si ammala, Crisarà deve lasciare in balia di un sostituto 1.590 pazienti. Non può. Anche perché Domenico non è superman, non è un eroe. É un professionista ma prima di tutto un uomo, in carne ed ossa, con le sue paure, come ci confida: «Io ho 59 anni, sono obeso e iperteso. Finora mi è andata bene ma i morti tra i medici di famiglia sono tantissimi. Su 189 medici deceduti, quasi 60 sono di base». Le ultime tre vittime sono due medici di base e un pediatra di Genova. Per questo motivo Domenico, quando torna a casa, «cambia tutti i vestiti»: ha paura di contagiare la sua famiglia.

«Non vogliamo diventare il capro espiatorio»

E le visite a domicilio le fa da solo, senza assistenza, «senza qualcuno che possa aiutarmi nella vestizione, senza nessuno che sanifichi la mia auto». «Non voglio diventare un capro espiatorio – ci spiega – Se la prendono con noi perché non siamo dipendenti dello Stato, perché non siamo controllabili. E, infatti, nemmeno ci coinvolgono quando decidono di approvare i protocolli per le cure a domicilio. Nel Cts poi non c’è manco un medico di famiglia, se ne fregano dei medici di base. Poi, però, ci attaccano dandoci dei cialtroni».

Il riferimento è al protocollo per le cure a casa dei pazienti Covid, annunciato dal presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli, ma di cui quasi nessuno conosce il contenuto. «Non ci coinvolgono, siamo all’oscuro di questa decisione», ci dice. E pensare che il medico è anche vice segretario nazionale di Fimmg (Federazione italiana dei medici di famiglia).

Tamponi e vaccini

Senza dimenticare, poi, l’impegno che è stato chiesto ai medici di base sia per i vaccini antinfluenzali sia per i tamponi rapidi: «In due giorni abbiamo vaccinato 1.200 persone, quindi, secondo le stime, abbiamo incontrato almeno 120 persone positive al Covid, asintomatiche, in Veneto». Un accordo molto discusso, invece, è stato quello sui tamponi, che ha spaccato i camici bianchi. «Senso di responsabilità» per alcuni; «follia» per altri.

Poi c’è il problema degli operatori del 118 stressati dalle richieste di pazienti che potrebbero essere curati a casa ma che lamentano di rivolgersi ai propri medici di famiglia senza ricevere alcuna risposta: «Io ho due segretarie, adesso ne assumeremo una terza. Tutto a nostre spese. Se il 118 avesse la stessa struttura organizzativa che abbiamo noi attualmente – cioè due persone per rispondere a migliaia di telefonate – avrebbe probabilmente gli stessi nostri problemi. Insomma, ci chiedono di essere un Frecciarossa quando, in realtà, siamo un treno con una locomotiva a carbone».

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