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Coronavirus. Il nuovo Dpcm sarà efficace? Cosa dicono i dati: le differenze tra prima e seconda ondata

14 Novembre 2020 - 08:53 Juanne Pili
Analizziamo i grafici del primo e secondo picco, per confrontarli prossimamente allo scadere del Decreto

Quanto saranno efficaci le misure di contenimento della diffusione del nuovo Coronavirus, entrate in vigore con l’ultimo Dpcm? Con l’aiuto del fisico Enrico D’Urso abbiamo analizzato mediante appositi grafici l’andamento della pandemia in Italia attraverso tre valori importanti, maggiormente indicativi, rispetto all’indice Rt o alla differenza tra numero di tamponi e positivi: ovvero, quello dei ricoverati, dei pazienti in terapia intensiva, e delle vittime. Tutti i dati utilizzati provengono dal sito della Protezione civile. Si riferiscono a quanto emerso ad oggi in questa seconda ondata, confrontandoli con l’andamento della prima, fino al sopraggiungere del Dpcm in vigore dal 6 novembre al 3 dicembre 2020.

Per chi ha fretta

Ci sono sostanziali differenze tra prima e seconda ondata, dove nella prima eravamo del tutto impreparati e «alle prime armi» contro un virus nuovo. Molte sono state le persone non tracciate, non avevamo i mezzi e le disponibilità adeguate per farlo e solo grazie ai nuovi studi abbiamo scoperto che anche gli asintomatici possono essere contagiosi.

Oggi la situazione è diversa e scientificamente siamo più preparati. Risulta plausibile che i picchi dei morti durante la prima ondata risultino maggiori rispetto alla seconda, così come per le terapie intensive. Tutto questo grazie da una parte alle conoscenze dei medici in prima linea nel trattare i pazienti e dall’altra le misure di sicurezza adottate dalla popolazione, dall’uso delle mascherine al distanziamento sociale tanto per citarne due. Questi, comunque, sono dati che riguardano questo periodo della seconda ondata, le cose potrebbero cambiare in peggio soprattutto se abbassiamo la guardia e non stiamo attenti a come gestire il sistema sanitario.

Considerando il numero dei ricoverati abbiamo delle percentuali di casi gravi e di vittime che, secondo quanto suggerito dai grafici, risulterebbero essere quasi sempre le stesse o che variano di poco. Questo elemento ci suggerisce, a prima vista e considerando anche i dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità, che le vittime sono per lo più gli anziani sopra i 65 anni o con certe patologie pregresse.

In un secondo articolo, che verrà pubblicato alla conclusione delle misure previste dall’attuale DPCM (salvo sorprese da parte del Governo Conte), pubblicheremo un secondo confronto degli ospedalizzati e dei decessi per comprendere l’eventuale impatto delle misure messe in atto.

Differenze tra prima e seconda ondata 

Dobbiamo tener conto del fatto che le conseguenze di una pandemia del genere sono esponenziali. Il primo picco si porta dietro le conseguenze di un Sistema sanitario, che – come negli altri Paesi – è stato preso alla sprovvista dall’emergere della Covid-19.

Così, avevamo una maggiore quantità di persone asintomatiche non tracciate; senza contare che le misure di contenimento sono state introdotte tardivamente e con scarso coordinamento tra le Regioni, come l’uso delle mascherine certificate. Lo stesso lockdown non è avvenuto immediatamente; vari studi mostrano inoltre, che probabilmente i primi contagi nel Nord Italia sarebbero avvenuti già nel mese di gennaio.

Come premessa della seconda ondata va tenuta in conto un’estate rilassata, all’insegna della vana speranza che il virus sparisse col caldo – mentre la riapertura delle scuole è avvenuta in maniera poco coordinata, senza tener conto di tutto quel che avveniva immediatamente fuori; pensiamo ad esempio alla gestione dei trasporti scolastici. D’altro canto, non ci siamo fatti trovare impreparati, con la popolazione anziana sensibilizzata, l’impiego più consapevole di mascherine e norme di distanziamento sociale. Inoltre, abbiamo fatto progressi nel trattamento dei pazienti ricoverati e nell’impiego di terapie efficaci.

Questo e altro sembra riflettersi nei seguenti grafici, che ci apprestiamo a commentare assieme a D’Urso.

Primo grafico: ricoverati, terapie intensive, vittime

Nel primo grafico, sotto riportato, abbiamo in arancione tutti gli ospedalizzati; in blu le terapie intensive; in verde le vittime. La linea parallela rossa mette in evidenza il limite della capienza negli ospedali per assistere i casi gravi (SSN).

Enrico D’Urso | Primo grafico. Andamento di ricoveri, terapie intensive e vittime durante il primo e secondo picco.

«Abbiamo fissato tale dato a 5mila – spiega il Fisico – tuttavia andrebbe considerato uno spazio tra questa quota minima e una massima di 7mila, ovvero i posti totali. Non ci si ammala infatti solo di Covid-19. Poco sotto un’altra linea parallela violacea ci mostra che ancora non abbiamo superato tale pericoloso valico».

Vediamo una oscillazione dove abbiamo più o meno una proporzione fissa nelle percentuali relative, che distinguono la quota di casi gravi rispetto al totale degli ospedalizzati e la relativa quantità di persone che non ce la fanno. Questo si potrebbe spiegare forse, col fatto che la tipologia di pazienti che finiscono in terapia intensiva, rispondono sempre a un certo insieme di caratteristiche: over 65 o con un certo genere di patologie pregresse.

Studi recenti suggeriscono che la risposta anticorpale specifica dipenda dalla durata e/o gravità della malattia. Non è facile ottenere previsioni o proiezioni affidabili nel lungo periodo. Molto è determinato dal fatto che esistono super-diffusori: individui che per ragioni fisiologiche – o più probabilmente perché si trovano in situazioni particolari – riescono a contagiare più persone di quanto potremmo dedurre dai normali indici R0 o Rt. Inoltre, una grande quota di positivi sarebbe determinato da una più esigua di diffusori, in buona parte asintomatici e presintomatici.

Per approfondire:

Secondo grafico: valori inferiori al primo picco

Nel secondo grafico – che ricordiamo riferirsi ai dati raccolti fino all’entrata in vigore del Dpcm lo scorso 6 novembre – diamo un’occhiata ravvicinata ai rapporti (ospedalizzati-intensive-vittime); si ottengono facendo dividendo il numero di un fenomeno, con un altro, e sono i seguenti:

  • Morti : Terapie intensive;
  • Morti : Terapie intensive secondo una media che varia giornalmente;
  • Terapie intensive: Ospedalizzati.
Enrico D’Urso | Secondo grafico: rapporti tra ospedalizzati, terapie intensive e vittime.

Otteniamo così le relative percentuali che vanno a formare le linee del grafico (ovvero, i rapporti), le quali ci dicono quanto sono gravi i casi ospedalizzati. I valori si mantengono effettivamente costanti, specialmente quello tra ricoverati e terapie intensive.

La linea rossa indica la media dei morti nelle terapie intensive, che si sta alzando, ma non vertiginosamente. Continuiamo a non essere ai livelli del lockdown di primavera, non di meno l’aumento del rapporto delle vittime ci ricorda che siamo nel mezzo della seconda ondata, mentre l’età media dei contagiati si sta alzando.

«L’aumento assoluto di questi valori è palese, ma occorre sottolineare anche l’aumento del rapporto tra essi – continua D’Urso – per quanto non sia scientificamente accurato. Rappresenta infatti una indicazione grossolana, tanto per darci un’idea. Per esempio, per quanto i valori continuino a essere inferiori rispetto al primo picco, le morti hanno avuto un rialzo rispetto all’occupazione delle terapie intensive. Più precisamente, durante l’aumento visibile nelle curve che precedono i picchi, abbiamo una sotto-espressione; durante la discesa una sovra-espressione, in quanto le morti avvengono con ritardo rispetto il contagio e l’aggravarsi della patologia».

In sintesi:

  • Nella prima parte della pandemia abbiamo tanti morti in funzione delle terapie intensive. Non sapevamo quali terapie adottare e avevamo un grande numero di anziani ammalati;
  • Nella prima fase del secondo picco c’erano pochi anziani, ma sapevamo quali misure terapeutiche adottate;
  • Successivamente pian piano sono aumentati gli anziani e alcuni di loro hanno cominciato progressivamente a morire. 

Terzo grafico: c’è un giorno della settimana dove i valori aumentano particolarmente?

Nel terzo grafico D’Urso indaga sulla possibilità che – fino al 6 novembre – possano esservi stati giorni particolari della settimana, nei quali tutti i valori osservati declinassero o impennassero. Ebbene, tale ipotesi resta ancora da dimostrare, nonostante qualche indizio riguardo agli ultimi lunedì.

Enrico D’Urso | Il terzo grafico non mostra differenze significative in determinati giorni della settimana.

«Questa ipotesi è emersa quando nel primo picco si era osservato un numero di morti molto inferiore nelle domeniche – spiega il Fisico – Oggi vediamo invece che non è dimostrata una correlazione significativa con un giorno particolare della settimana». 

Quarto grafico: incrementi e decrementi delle terapie intensive: compariamo prima e seconda ondata

Nel quarto grafico osserviamo l’andamento delle terapie intensive nella prima (linea viola) e seconda ondata (linea rossa). «Le due curve sono state sovrapposte – continua D’Urso – utilizzando come punto d’incontro il giorno in cui il numero di terapie intensive nel giorno del primo lockdown nazionale ha raggiunto il numero di terapie intensive occupate nel secondo picco», la linea rossa si ferma poi bruscamente, avendo analizzato i dati solo fino al 6 novembre.

Enrico D’Urso | Quarto grafico: prima e seconda ondata a confronto.

Vengono indicati incrementi e decrementi giorno per giorno: sopra lo 0 abbiamo degli aumenti; sotto delle diminuzioni. I livelli durante la seconda ondata sono molto più bassi rispetto a quelli del primo lockdown, anche se hanno avuto un punto di origine peggiore.

Facciamo notare che in questo periodo abbiamo un calo degli incrementi. Questo potrebbe giustificare l’esitazione del Governo a stabilirne un secondo vero e proprio lockdown, preferendo altre misure restrittive?

Come accennavamo, occorre scongiurare le situazioni che creano i super-diffusori, imponendo la chiusura di attività non essenziali dopo una certa ora e istituendo un coprifuoco a tarda sera; mentre si spera che nei normali orari di lavoro si osservino meglio tutte le norme di distanziamento sociale, sanificazione dei locali, e uso delle mascherine certificate.

Anche l’impiego di test diagnostici per instradare i casi sospetti alla verifica molecolare (test RT-PCR) è decisamente migliorato rispetto alla prima ondata. All’occorrenza, dove tornano a manifestarsi dei focolai, si allestiscono nuovi reparti per accogliere i casi gravi, instradando quelli più critici nelle terapie intensive.  

Ultimi aggiornamenti (7 novembre): primi presunti effetti del Dpcm

«Nel momento in cui scriviamo l’andamento delle terapie intensive si sta stabilizzando attorno alle 100 al giorno – spiega D’Urso – questo è positivo perché indica che le misure di contenimento soft stanno avendo effetto, ma non sono ancora sufficienti per invertire il trend».

«Un aumento di terapie intensive stabile confrontato con un forte aumento dei casi, indica inoltre che il numero di persone entrate in terapia intensiva sta iniziando ad eguagliare quelle che ne escono». 

«Di contro, c’è un aumento della mortalità, che si sta fortunatamente mantenendo ancora bassa rispetto al primo picco. Il numero di ricoverati totali sta però raggiungendo quello di aprile ad un rateo non altissimo (1000 pazienti al giorno) ma costante da troppi giorni, che sta quindi facendo raggiungere velocemente il livello del primo picco, anche se con un numero di terapie intensive occupate che è ai 2/3 di aprile».

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