Stati Generali, M5s ad alta tensione. Di Battista attacca: «Denigrato da chi si genuflette ai padroni»
Alessandro Di Battista torna a parlare, e lo fa a mezzo social nella giornata conclusiva degli Stati generali del Movimento Cinque Stelle. Sullo sfondo lo scontro tra Luigi Di Maio e lo stesso Di Battista, il primo a favore dell’alleanza con il Pd, il secondo per l’indipendenza del Movimento, insomma per un ritorno alle origini. «Non sono stato considerato quando (prima privatamente e poi pubblicamente) mi scagliai contro le nomine nelle grandi aziende di Stato di personaggi imputati per reati gravissimi – scrive Di Battista su Facebook -. Mi venne solo garantito che in caso di condanna sarebbero stati rimossi. Ebbene Profumo sta ancora lì. Oggi mi viene chiesto a gran voce di entrare in un organo collegiale che non è stato ancora votato dagli iscritti. Perché? Perché forse le nostre idee non sono così minoritarie come qualcuno vorrebbe far credere».
Di Battista, supportato da Davide Casaleggio, aveva già proposto di rendere pubblici i voti dei singoli delegati sulle questioni all’ordine del giorno negli Stati generali. «Si pubblichino i voti che ciascuno dei 30 delegati nazionali ha ottenuto. Perché è giusto conoscere il peso specifico delle idee di coloro che sono stati scelti e per smetterla una volta per tutte di definire “dissidenti” coloro che, su molti aspetti, hanno il solo torto di non aver cambiato opinione», continua.
«Hanno screditato il mio lavoro abituati evidentemente a ex-parlamentari che si fanno piazzare nelle partecipate di Stato. Hanno provato a irridere le posizioni politiche che io e migliaia di altre persone abbiamo preso e l’hanno fatto coloro che l’unica posizione che conoscono è la genuflessione davanti ai loro padroni. Non ho fatto altro che fare proposte e denunce, ho parlato solo di temi, di identità». Quello che non è stato digerito dai vertici del M5s, secondo Di Battista, sarebbero state le sue posizioni «evidentemente dissimili da quelle assunte da parte del “gruppo dirigente”».
E così è stato definito «eretico, dissidente. Hanno scritto che le mie idee erano minoritarie, che mi trovavo all’angolo, non considerato. Leggo di fantomatici piani per isolarmi (tra l’altro mai smentiti) perché rappresenterei una minaccia. Ho solo chiesto il rispetto assoluto per quel 33% conquistato con l’impegno ed il sudore di migliaia di attivisti (anche del mio che feci campagna elettorale da non candidato) e un atteggiamento intransigente nei confronti dei soliti boiardi di Stato che sembrano intoccabili».
Il risultato? «É stato detto, scritto e lasciato trapelare che fossi contro Conte, nostalgico di Salvini (proprio io che lo attaccavo – quasi in solitudine – quando era potente e prima che si dimostrasse un politico dozzinale qual è) e che volessi minare il governo. Tutto questo solo perché cercavo di rafforzare il Movimento difendendo i successi e ammettendo gli errori».
Foto in copertina di repertorio: ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
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