Coronavirus, sulle terapie intensive gli anestesisti rispondono ad Arcuri: «Non basta il ventilatore per salvare vite»
«Non c’è nessuna pressione sulle terapie intensive», aveva detto ieri, 16 novembre, Domenico Arcuri, il commissario straordinario per l’emergenza Coronavirus, fornendo alcuni dati sullo stato dei reparti nelle varie regioni. Un’uscita che ha lasciato perplessi numerosi addetti ai lavori, tra cui Antonino Giarratano, il presidente della Siaarti, la Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva. «Viene affermato che la pressione sulle terapie intensive è sostenibile», ha detto in un videomessaggio mandato in onda su Rai 3 durante la trasmissione Agorà. «Ma in realtà nelle Regioni rosse la pressione è quasi insostenibile. E in quelle arancioni è molto ma molto pesante».
Secondo Giarratano, sostenere che 10 mila ventilatori possano garantire un sufficiente margine per sostenere questa crescita esponenziale di ricoveri in terapia intensiva «significa pensare che basti saper accendere un ventilatore per salvare una vita. Purtroppo non è così». Della stessa posizione è anche Andrea Crisanti, che nella stessa trasmissione ha dichiarato: «Un posto di terapia intensiva non si crea solo accendendo un ventilatore. Non si moltiplicano i letti senza utilizzare infermieri e rianimatori. Ci vogliono anni a formare un rianimatore, e più posti letto segue, più è difficile per lui curare i pazienti».
Il direttore di microbiologia e virologia all’Università di Padova ha poi sottolineato quello che definisce un «paradosso»: «Più posti aggiuntivi si creano nelle terapie intensive, meno pressione c’è e più il virus si diffonde. Così facendo, alla fine della pandemia, si scoprirà che le regioni con più posti in rianimazione avranno fatto più morti».
Foto in copertina Max Cavallari Agenzia Ansa
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