Sanità in Calabria, Falcomatà: «Scegliamo insieme il commissario, purché resti poco. Poi la competenza torni allo Stato» – L’intervista
Mentre in Calabria si registra un’ulteriore impennata dei casi di Coronavirus (936 nuovi positivi su 4.662 soggetti testati, altre 10 vittime e 35 ricoveri in più), i sindaci della regione si preparano a incontrare il premier Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Una manifestazione è in programma domani pomeriggio e le richieste che verranno messe sul tavolo del governo le ha illustrate a Open il primo cittadino di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà: «Chiediamo di essere coinvolti nella scelta del commissario alla Sanità. Non dev’essere per forza un calabrese, questo è un falso problema, ma deve avere un mandato breve. E poi chiediamo l’aiuto dell’esecutivo per azzerare il debito accumulato negli anni. Davanti a una persona come Gino Strada, io mi inchino».
Il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, ha detto che va accolto il suo «invito di metodo» per la scelta del nuovo commissario alla Sanità in Calabria. Che cos’ha in mente?
Lo stiamo dicendo da quando è iniziata questa vicenda, che ormai ha assunto contorni grotteschi. A noi non interessano i nomi e non li facciamo, possiamo però indicare dei profili: competenza, onestà, professionalità e soprattutto passione, la passione che si deve avere per svolgere un compito così delicato in Calabria. Poniamo un problema di metodo. Finora si è seguita la strada del nome calato dell’alto, senza nessuna concertazione e condivisione con chi il territorio lo rappresenta e quindi con i sindaci. Noi chiediamo di essere coinvolti in questa decisione. Non soltanto nella scelta del commissario, ma anche nelle scelte più generali che riguardano la tutela della salute dei calabresi. Vogliamo un tavolo di concertazione permanente, territoriale, che dia consapevolezza ai sindaci delle difficoltà nel risollevare una situazione disastrosa come quella della sanità in Calabria.
Cosa direte al presidente del Consiglio?
Domani abbiamo l’incontro con il premier Conte. Arrivarci con il nome già ufficializzato non sarebbe il massimo. Noi vorremmo che l’incontro fosse operativo e proporremo due cose, oltre al metodo e alla condivisione del nome. Il superamento del commissariamento, che dovrà essere breve nella sua durata. E poi un sostegno da parte del governo per azzerare il debito della sanità calabrese. Possiamo chiamare il miglior manager del mondo, ma se i numeri sono quelli e la Calabria è commissariata da 11 anni, anni durante i quali il debito è anche salito, probabilmente c’è una situazione non solo di incapacità, ma anche di difficoltà oggettiva a sanare il debito della sanità calabrese.
Mi chiarisca la posizione dei sindaci calabresi: chiedete il superamento della gestione commissariale con la restituzione delle competenze alla Regione, o chiedete che la sanità torni di competenza esclusiva dello Stato?
Questa non è una cosa che si possa fare dall’oggi al domani. Chiudere il commissariamento significa in automatico che la sanità torna a essere di competenza regionale. Però, secondo me, l’Italia deve fare una riflessione seria rispetto al comparto delle competenze su materie così delicate come la sanità. Non possiamo permetterci 20 sanità diverse in tutto il Paese, è una materia che deve tornare nella competenza esclusiva dello Stato. Il Covid ha accentuato l’impossibilità di avere un sistema così frammentato, perché ha aggravato le fragilità laddove la sanità già non navigava in buone acque. Ma anche sistemi e Regioni che noi pensavamo fossero al top hanno avuto grandi difficoltà.
Per quanto riguarda l’azzeramento del debito, pensa che ci siano buone probabilità che questa proposta venga accolta dal governo? E cosa risponde a chi potrebbe insinuare che si tratti di una proposta da campagna elettorale, visto che a febbraio si torna alle urne per eleggere il nuovo governatore?
Infatti questa cosa, a mio avviso, deve essere fatta dopo le Regionali, per togliere ogni ombra rispetto alla bontà e alla trasparenza della proposta. Noi lavoreremo su questa prospettiva, non possono essere i calabresi a pagare anni di corruzione, malversazione e illegalità diffusa nel comparto della sanità. Dopo 11 anni di commissariamento, con i Livelli essenziali di assistenza non garantiti, gli unici a pagare lo scotto di questa situazione sono i calabresi, che vedono violato il diritto alla tutela della salute e l’opportunità di potersi curare nella propria regione.
A quanto ammonta il debito della sanità calabrese? Per la sola Asp di Reggio, la cifra è di circa 1 miliardo di euro. E al Policlinico universitario di Catanzaro è appena venuto a galla il caso dei 62 milioni di crediti “fantasma” messi a bilancio dal 2015…
Abbiamo abbondantemente superato il miliardo di euro. Sono numeri che cambiano di giorno in giorno, in base alle situazioni che emergono dai territori e dalle varie Asp provinciali.
Non si sente in imbarazzo a portare avanti una battaglia – quella dell’azzeramento del debito – che rischia di “coprire” anche tutto il marcio della sanità calabrese?
No, perché bisogna lavorare su due tavoli. Alcune Asp, come quella di Reggio Calabria, sono state sciolte per infiltrazioni mafiose. Il lavoro della magistratura, anche quella contabile, deve continuare. E bisogna fare presto anche in questo caso, perché dobbiamo sapere chi sono stati i protagonisti e i complici del disastro. Ma allo stesso tempo non possiamo pensare che un commissario da solo risolva tutti i problemi. O ci condanniamo all’ennesimo commissario che avrà il compito impossibile di sanare il buco di bilancio, oppure iniziamo a pensare a una soluzione che consenta ai calabresi di avere una sanità dignitosa. La nostra proposta è questa, ma non credo ce ne siano altre che consentano di uscire da un’impasse ormai insopportabile.
Ma secondo lei ci vuole un calabrese per fare il commissario in Calabria? Anche alla luce del fatto che durante tutti questi anni di commissariamento, fino al 2019, i direttori generali delle aziende sanitarie e degli ospedali sono stati comunque nominati dalla classe politica calabrese…
Questo è un altro aspetto del problema. Quando si dice 11 anni di commissariamento… non si può pensare che la politica regionale in tutto questo periodo sia stata totalmente esente da responsabilità. Intanto il primo commissario coincideva col presidente della Regione (Giuseppe Scopelliti, ndr), quindi di fatto era un commissariamento fittizio. Gli altri commissari, fino al 2019, avevano competenze parziali. Nel senso che i direttori generali, i direttori sanitari, i direttori delle aziende ospedaliere venivano tutti comunque nominati dalla politica e dal presidente della Regione. Solo con il decreto Calabria si accentrano i poteri del commissario, e quindi il governo passa a nominare anche i commissari delle aziende sanitarie provinciali. Bisogna tenerne conto quando si parla della distribuzione delle responsabilità.
E sulla calabresità del commissario?
Il problema principale non è questo, noi non soffriamo di complessi di inferiorità per cui se non abbiamo un calabrese ci sentiamo inferiori. Ci sono tantissime personalità calabresi che potrebbero svolgere questo compito, ma credo che sia un falso problema. Le caratteristiche non devono essere quelle della carta d’identità e del luogo di nascita. Servono competenza, professionalità, spirito appassionato e legalità. Poi che il commissario sia nato in Calabria o altrove, è un falso problema.
A proposito di passione. Gino Strada da sempre porta avanti un’idea di sanità pubblica che si scontra con la logica del profitto della sanità privata. Secondo lei è questo uno dei motivi per cui è malvisto in Calabria nel ruolo di commissario? Penso per esempio alle recenti dichiarazioni del presidente facente funzioni, Nino Spirlì, sui pozzi da scavare e i missionari africani…
Io quando si parla di Gino Strada mi sento piccolo piccolo e posso solo inchinarmi davanti a una persona come lui, per la sua testimonianza di impegno e solidarietà, per aver messo la sua professionalità al servizio degli altri. Sono grato e orgoglioso, da calabrese, che lui possa dare una mano alla nostra regione. Non potrei dire altro sulla sua persona, con Gino Strada non ci sarebbe neanche da porsi il problema.
Se la Regione Calabria chiedesse un allentamento delle restrizioni anti-Covid con passaggio in zona arancione o gialla, lei si farebbe carico di gestire un’eventuale zona rossa a Reggio, tra le province più colpite dal contagio a livello locale?
Se la Calabria facesse questa mossa, significherebbe che le ragioni per cui siamo entrati in zona rossa sono superate. Quindi io ne sarei contento, perché significherebbe che in poco tempo abbiamo realizzato gli ospedali territoriali, aperto le residenze Covid, assunto i 500 medici e infermieri previsti dal piano straordinario Covid, aggiunto 136 posti di terapia intensiva e 134 posti di terapia subintensiva… sarei contento, ho dei dubbi che tutto questo possa essere fatto nel giro di pochi giorni.
Lei si è caratterizzato come il sindaco della novità. Cosa sta facendo in città per segnare una svolta in ambito sanitario?
Ci stiamo assumendo responsabilità che non sono nostre. Ad esempio l’apertura delle residenze Covid, i famosi Covid Hotel. Queste sono competenze delle Asp, ma le Asp dormono. E allora noi ci siamo attivati come Giunta comunale per indire una manifestazione di interesse per attivare le residenze Covid, andando a rimodulare alcune risorse dei fondi comunitari. Poi abbiamo istituito una task force, mettendo insieme tanti professionisti reggini impegnati nella sanità e nell’associazionismo, che stanno dando una linea su quello che può fare il Comune. Stiamo ad esempio predisponendo un progetto per il tracciamento dei contagi, che è la vera sfida. Nella provincia di Reggio il tracciamento si è perso e ci stiamo pensando noi, mettendo insieme uno spirito di volontariato e di lavoro gratuito per la città che per fortuna da noi è ancora vivo.