Francia, fino a 45mila euro di multa per chi filma la polizia. La protesta dei giornalisti: «È un attacco alla libertà di stampa»
Dopo che ieri le autorità francesi hanno arrestato cinque reporter scesi in strada per contestare la nuova proposta di legge sulla sicurezza globale, è sempre più scontro tra l’esecutivo e i media. In particolare, la polemica si è fatta accesa in seguito alle parole del ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, secondo il quale i giornalisti devono avvertire le autorità prima di andare a seguire per la loro testata una manifestazione. Poche ore dopo, lo stesso Darmanin ha provato però a fare marcia indietro specificando che non stava parlando di «un obbligo».
In un’intervista al quotidiano Le Parisien, il ministro dell’Interno aveva spiegato le ragioni dietro alla proposta di legge dichiarando che «il cancro della società è la mancanza di rispetto dell’autorità. È incredibile che in questa società la gente pensi che la polizia sia l’aggressore». Le dichiarazioni del ministro hanno contribuito a esacerbare una situazione già molto tesa in vista dell’approvazione della proposta di legge sulla sicurezza globale che diversi media considerano «un attacco alla libertà di stampa». Negli ultimi due giorni, migliaia di manifestanti hanno protestato contro questa che viene definita «legge liberticida».
Il progetto di legge limita, in particolare, la diffusione di immagini di poliziotti in servizio. Ieri, un giornalista della tv pubblica France 3, che ha filmato alcuni fermi operati dalla polizia, ha trascorso lui stesso 12 ore in stato di fermo. Interrogato ieri pomeriggio su questo caso, Darmanin ha affermato che i giornalisti «devono contattare le autorità» prima delle manifestazioni, così da poter fare «il loro lavoro protetti dalle forze dell’ordine».
Le altre misure contenute nella proposta di legge vogliono rispondere alle proteste dei sindacati di polizia, che lamentano minacce e aggressioni in aumento. Tra queste, quella più controversa riguarda una ammenda fino a 45 mila euro per la diffusione di «immagini del volto o altro elemento di identificazione» di un poliziotto durante un intervento, quando ciò «mette in pericolo la sua integrità fisica o psicologica». Le associazioni di giornalisti denunciano una misura che verrà applicata non soltanto ai media ma anche a qualsiasi cittadino che riprenderà un’operazione di polizia.
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