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Coronavirus, i numeri in chiaro. Il virologo Maga: «Un errore riaprire prima del 3 dicembre. Attenzione alle Rsa»

21 Novembre 2020 - 19:44 Giada Ferraglioni
I numeri positivi sui contagi e sull’Rt non bastano per farci pensare a riaperture anticipate. Il virologo Maga spiega a Open perché bisogna essere prudenti per ancora due settimane

Le cose iniziano ad andare meglio. Anche se siamo ancora lontani dal far rientrare l’epidemia di Coronavirus, le chiusure e le limitazioni adottate due settimane fa in Italia stanno portando i primi risultati. Come aveva anticipato già l’Istituto superiore di sanità nell’ultima conferenza stampa, ci sono buone notizie sia sul fronte dei nuovi contagi (oggi +34.767), che restano più o meno stabili da una settimana, sia sul fronte dell’indice Rt nelle varie Regioni. Anche per quanto riguarda il lato degli ospedali, oggi è arrivata una buona notizia, che secondo Roberto Burioni potrebbe essere «potenzialmente eccellente»: il bilancio delle terapie intensive segna +10 rispetto al giorno precedente invece del +100 registrato nei dei giorni scorsi.

Eppure, nonostante il quadro sia positivo, è ancora troppo presto per cantare vittoria. Le festività natalizie, unite a un prossimo ammorbidimento di alcune misure nelle aree più a rischio, potrebbe farci tornare indietro di qualche settimana. A spiegare perché a Open è il professor Giovanni Maga, virologo e direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Centro nazionale di ricerca (Cnr).

Professor Maga, possiamo dire che i numeri di oggi confermano quanto anticipato dall’Iss, e cioè che siamo davanti a un evidente miglioramento?

«Sì. Come ha dimostrato l’Istituto superiore di sanità, ci ci sono segnali di rallentamento. Abbiamo l’indice Rt che si è abbassato in maniera significativa su tutto il territorio nazionale, e nella maggior parte delle Regioni il livello è appena sopra l’1. In altre zone le cose vanno anche meglio. L’epidemia sta perdendo forza».

Nonostante il dato incoraggiante sull’andamento delle terapie intensive, resta il nodo della saturazione ospedaliera, ancora non risolto. Questo deve preoccuparci?

«C’è una riflessione da fare: è vero che c’è un alleggerimento sugli ospedali, e che i numeri dei ricoveri e delle terapie intensive sono più bassi rispetto a 15 giorni fa. Ma la maggior parte delle Regioni è ancora al di sopra della soglia di attenzione, sia nei reparti intensivi che no. Il vero messaggio che ci mandano i dati di questi giorni è che le misure stanno funzionando, ma abbiamo bisogno ancora di una o di due settimane per far sì che le strutture ospedaliere si svuotino il più possibile.

In questo modo, il sistema sanitario sarà in grado di reggere quello che potrebbe succedere dal 3 dicembre in poi, cioè quando probabilmente si deciderà di allentare le misure su bar e negozi in vista del Natale. A quel punto, avremmo sicuramente un nuovo aumento dei casi, ma saremmo anche in condizioni di poterlo gestire. Se invece riapriamo ora, sarà molto difficile riuscire a tenere tutto sotto controllo».

A proposito, in questi giorni si discute sulla possibilità di far scalare alcune Regioni dalla zona rossa alla zona gialla a partire già dal 27 novembre. Si parla soprattutto di Lombardia e Piemonte. Nella seconda, però, i dati sui contagiati sono condizionati dal fatto che non si fanno più tamponi agli asintomatici, anche se contatti stretti di positivi. Che ne pensa?

«Io credo, appunto, che le disposizioni dovrebbero rimanere le stesse almeno fino ai primi di dicembre. I dati sui quali si basano queste valutazioni non possono essere quelli giornalieri. Ci sono sempre ritardi di notifica, che li rendono cumulativi e poco chiari. C’è poi il problema del contact tracing – più o meno efficiente a seconda delle diverse aree del Paese. L’unico modo per avere un quadro fedele e realistico della situazione è fare una valutazione sul lungo periodo. Bisogna aspettare che tutti gli indicatori vadano per il meglio, soprattutto dal punto di vista della tenuta ospedaliera».

Pur se di poche unità, il dato sui decessi di oggi è diminuito (+692 contro i +699 di ieri). Questo ci dice qualcosa? O parliamo solo di tempi di notifica?

«I decessi sono ancora tanti ed è ovvio che sono una tragica conseguenza del gran numero di persone arrivate in una fase critica durante le scorse settimane. C’è una corrispondenza diretta tra le persone che si infettano, quelle che vengono ospedalizzate, quelle che si aggravano e quello che poi muoiono. Per cui, quello sulle morti sarà l’ultimo numero a migliorare. Lo vedremo scendere solo quando ci sarà un deciso calo di tutti gli altri parametri. Nel frattempo, però, potrebbe aiutare aumentare la protezione nei confronti delle persone fragili. Se tutti si adoperassero ad essere il più prudenti possibile, questi numeri potrebbero diminuire anche prima».

Si riferisce allo spauracchio dei cenoni di Natale e Capodanno?

«Anche, ma non solo. Sappiamo bene che a morire di Covid-19 sono soprattutto persone sopra i 65 e i 70 anni e che hanno almeno una patologia cronica pregressa. Da questo punto di vista abbiamo un grande problema che dura tutto l’anno, non solo qualche giorno a dicembre: le Rsa. C’è stata una scarsa preparazione nella gestione della prima fase epidemica, ma anche nella seconda ondata le cose non sono andate meglio. I focolai riguardano ancora troppo spesso queste strutture. Bisogna intervenire il prima possibile».

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