Il racconto di Aja, la madre ragazzina che ha visto morire suo figlio dal barcone. La risposta a chi dice che sarebbe colpa sua – Il video
«I nostri occhi non siano i soli a vedere». Così, solo 10 giorni fa la Ong spagnola Open Arms pubblicava il video dove venivano mostrate le operazione di soccorso di 118 persone, di cui 12 donne e due neonati, dopo il naufragio di un’imbarcazione davanti alle coste della Libia. Un video in cui si sentono distintamente le urla di una giovane donna, Aja, e del «pianto disperato di una madre alla ricerca del suo bambino di sei mesi, in mezzo al caos. Lo abbiamo recuperato dal mare in arresto respiratorio, portato a bordo, ma qualche ora dopo il suo corpicino non ha resistito. Lei è la madre di Joseph». Adesso Aja, da poco divenuta maggiorenne, è ospite del centro di accoglienza di Lampedusa e ha raccontato la propria storia e cosa è successo durante il naufragio dello scorso 11 novembre (su cui la procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta) a Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ndr).
La storia di Aya, sposa bambina a 13 anni
Un viaggio, disperato e speranzoso, a bordo di quel gommone intrapreso per fuggire dalla Libia, perché «non c’era da mangiare – racconta Aja. «Vivevo a Tripoli, e non è facile per noi neri. I bambini ci tirano le pietre addosso». E andando a ritroso, la storia della vita di Aja diventa ancora più buia. Costretta a sposarsi a soli 13 anni dal padre, dopo essere rimasta incinta, viene abbandonata dal marito. Aja decide dunque di trasferirsi in Mali per lavorare, per poter mantenere la propria famiglia e il primo figlio rimasto in Guinea con la nonna, e successivamente di spostarsi ulteriormente in Libia per lavorare, dapprima facendo pulizie e in un ospedale. E’ allora che rimane incinta di Yusuf e successivamente decide di partire per l’Italia per poter mantenere il neonato, così come la sua famiglia e il suo primo figlio.
La speranza per il futuro
«Dio mi ha dato Yusuf e Dio me l’ha preso. Cosa devo dire? Il mio bambino è morto. Non ho più nulla», prosegue Aja, il cui figlio riposa ora nel cimitero dei migranti di Lampedusa. E ora la giovane non può far altro che sperare. Sperare di poter imparare l’italiano e di potersi integrare e lavorare, per aiutare – ancora una volta – la propria famiglia e il primogenito. «Ho già perso Yusuf – conclude – Cosa deve succedere ancora? Dio solo lo sa». Le parole di Aja e la sua tragedia non lasciano spazio a interpretazioni o a commenti polemici. Per quanto ci sia stato chi, come la giornalista di Libero Azzurra Barbuto, abbia insisto sin da subito ad attribuire la responsabilità della morte del piccolo Yusuf a sua madre, come ripete ancora sui social.
Video: Twitter / @UNHCRItalia
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