Il vaccino contro il Coronavirus deve essere obbligatorio? Pregliasco: «Sì, è più pratico». Forni: «No, si fomentano i no-vax». Quattro esperti a confronto
Corre, corre come mai prima nella storia della medicina lo sviluppo di un vaccino che, in questo caso, servirà ad arrestare la diffusione del Coronavirus nel mondo. Sono almeno 10 i farmaci biologici ad aver raggiunto la fase finale della sperimentazione in quella che, oltre a essere una gara per contribuire alla salute pubblica, sembra essere diventata una competizione tra colossi farmaceutici e Stati più o meno democratici – si legga Cina e Russia – per raggiungere prima degli altri l’obiettivo. Dimostrare al mondo il successo della propria scienza e, contestualmente, commercializzare in anticipo rispetto ai competitor il vaccino anti-covid, avrà i suoi vantaggi. Altrettanti giovamenti, però, trarranno i Paesi che riusciranno ad accaparrarsi più dosi. In ordine di importanza: vaccinare la maggior parte della popolazione non può che avere riscontri positivi sia sul versante sanitario che su quello economico. Poi – alla stregua delle percentuali di efficacia annunciate a mezzo stampa dalle case farmaceutiche – anche per il consenso politico poter annunciare di essersi assicurati più dosi degli altri è un toccasana.
Insomma, gli interessi sono molteplici. Spesso, però, finiscono per generare confusione sull’argomento vaccini. Negli ultimi giorni, al centro del dibattito pubblico italiano si è imposto il tema dell’obbligatorietà o della volontarietà della campagna vaccinale. Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università statale di Milano, Massimo Andreoni, direttore di Malattie infettive dell’Università Tor Vergata a Roma, Massimo Pistolesi, pneumologo dell’Università di Firenze e Guido Forni, immunologo dell’Accademia dei Lincei e dell’Università di Torino, hanno espresso a Open il proprio parere.
Fabrizio Pregliasco: «Dal punto di vista medico, nessun dubbio. Le vaccinazioni obbligatorie sono la soluzione più pratica»
Qual è la cosa più giusta da fare per garantire l’efficacia della campagna vaccinale contro il Coronavirus?
«Dal punto di vista medico, devo guardare all’esito delle vaccinazioni sulla popolazione. Il risultato da raggiungere è l’ottenimento dell’immunità di gregge che, analizzando l’R0 di questa epidemia, si otterrà con un 60-70% di copertura vaccinale. Bisognerebbe arrivare a questa percentuale di popolazione nel minor tempo possibile e, quindi, l’obbligatorietà del vaccino sarebbe la soluzione più pratica».
Perché utilizza il condizionale?
«È chiaro che, in questo momento storico, l’antivaccinismo dilagante impone che queste decisioni si muovano su un piano più politico. E allora, accettando il contesto sociale, mi pare che la soluzione più percorribile sia quella del convincimento della popolazione. Non l’obbligo. Anche se, va detto, questo modus operandi comporterà un ritardo nel raggiungimento dell’immunità di gregge. Ecco, speriamo che il ritardo sia lieve».
Eppure, in Italia, esistono già delle vaccinazioni obbligatorie.
«In questo periodo abbastanza teso, però, mi sa che dobbiamo rispolverare il concetto di alleanza terapeutica tra medico e paziente. Per il vaccino contro il Coronavirus credo che non si potrà prescindere da un’alleanza preventiva: la scienza dovrà rinunciare all’opzione, benché più efficace, dell’obbligatorietà».
Perché, secondo lei, sarebbe importante una campagna di vaccinazione obbligatoria contro il Sars-CoV-2?
«Stiamo parlando di un virus con un’altissima capacità di diffusione. Benché non abbia una letalità terribile in termini percentuali, il numero totale dei contagiati ha comportato quasi 1 milione e 400mila morti nel mondo. Quindi, un intervento che riesca a bloccare questa diffusione, e cioè la vaccinazione, credo che abbia tutti i canoni dell’obbligatorietà. Anche perché la tutela di un bene comune, in questo caso la sanità pubblica, è qualcosa che merita un obbligo. Ricordo che anche per la tubercolosi riceviamo un trattamento obbligatorio».
Come mai ci sono queste reticenze sull’obbligatorietà?
«Ci sono dei discorsi che non riguardano la sfera scientifica e preferisco non prendervi parte. Devo ammettere, tuttavia, che è più semplice predisporre l’obbligatorietà rispetto a qualcosa di molto conosciuto. Il Covid, invece, è un virus che ha ancora tratti oscuri, così come le risposte della medicina a questo patogeno non sono ancora definitive».
C’è qualche rischio legato alla somministrazione dei vaccini?
«No. Se arriva sul mercato, vuol dire che il vaccino è sicuro, valido ed esente da tossicità. Detto ciò, è chiaro che il pieno controllo della risposta della popolazione a un vaccino lo abbiamo solo dopo aver osservato centinaia di migliaia di casi trattati. È un’osservazione continua, quella medica, che deve rassicurare anche la popolazione. Ma non può che avvenire dopo l’inizio della campagna vaccinale. Riassumendo il mio pensiero, la vaccinazione obbligatoria è auspicabile, ma sarà difficile da imporre. Vorrei dire a chi è scettico, però, di pensare ai costi sociali e ai morti causati dalla pandemia: sappiate che il vaccino garantirà la fine di questo incubo».
Massimo Pistolesi: «Fidiamoci delle agenzie regolatorie»
Lei crede che l’alta trasmissibilità del Covid imponga alle autorità sanitarie e politiche di optare per l’obbligatorietà della vaccinazione?
«Io credo che la storia della medicina racconta chiaramente che l’invenzione del vaccino abbia liberato l’umanità da situazioni davvero difficili. Se vogliamo fare un parallelo con il passato, pensiamo alla poliomielite: io stesso ho fatto due vaccini antipolio obbligatori quando ero giovane, un’iniezione e una zolletta di zucchero data a scuola. Ecco, oggi mi sembra che ci troviamo in una situazione analoga. In più, credo che quando l’Fda americana e l’Ema europea daranno un parere positivo sul vaccino, non lo faranno per fretta o per ragioni commerciali. Ma perché saranno convinte della sua efficacia».
Come mai si è sollevato questo scetticismo sull’obbligatorietà?
«Sicuramente c’è stato un comportamento sbagliato da parte di alcuni Stati e aziende farmaceutiche. Sarebbe stato più serio pubblicare prima i lavori scientifici alla base dello sviluppo del vaccino e poi fare gli annunci a mezzo stampa. Si è iniziato a parlare della questione dividendo il pubblico tra favorevoli e contrari, un sacco di parole buttate lì a generare confusione. Aspettiamo il parere delle autorità regolatorie: se daranno il via libera, chi si opporrà alla vaccinazione farà un brutto gesto nei confronti di tutto il genere umano».
Quindi lei è per la volontarietà della vaccinazione?
«Preferisco non fare parte di una squadra, ma constatare alcune cose. È chiaro che, nel corso della storia, tanti farmaci sono stati ritirati dal commercio dopo essere stati approvati. Qualcosa può sfuggire anche a medici e scienziati, ma è sbagliato partire con un pregiudizio sul tema. Ecco, vorrei che le persone ragionassero in modo corretto senza che si rendesse necessaria l’obbligatorietà. Di negazionisti, anche famosi, che si sono ammalati ne abbiamo visti tanti. Non vorrei prestare il fianco a chi utilizzerebbe l’obbligo del vaccino per dire che ci è stata sottratta la democrazia. Piuttosto, ricordiamo loro che vaiolo e poliomielite non esistono più e lasciamo che sia la fiducia nella scienza a persuaderli».
Guido Forni: «Un bene, considerato obbligatorio, si trasforma in un male»
Auspica una campagna vaccinale obbligatoria?
«Assolutamente no. Creerebbe una reazione eccessiva e contraria allo scopo della campagna. Bisogna invece sforzarsi di convincere le persone che vaccinarsi è la cosa giusta. E sono tantissimi gli strumenti in mano a politici e organizzazioni per indurre i cittadini ad accettare qualcosa di importante per il futuro, senza ricorrere all’obbligatorietà. Luigi Pareyson, un grande filosofo dell’Università di Torino, diceva che un bene a cui un individuo è obbligato si trasforma in un male. Detto ciò, Russia e Cina non devono ricorrere al convincimento, perché non sono democrazie e possono imporre alla popolazione quello che vogliono. Le democrazie, invece, hanno gli strumenti per risolvere i problemi senza obbligare».
Tipo? Eppure nell’Italia repubblicana, e quindi democratica, sono state fatte campagne di vaccinazione di massa obbligatorie.
«Convincere, parlare, spiegare, fare pubblicità. Ma mai obbligare. Quando la popolazione fu obbligata a vaccinarsi contro vaiolo e poliomielite l’Italia era un altro mondo rispetto a quello che conosciamo. Ecco, forse era più simile alla Cina di oggi, che non ha avuto problemi a controllare il virus: ma è un altro tipo di società. Ribadisco, con l’obbligatorietà avremmo una reazione contraria all’intento iniziale».
Cosa la preoccupa maggiormente?
«È un problema molto complesso e, senza entrare nell’ambito della filosofia, posso fare un esempio. Avremo tre, quattro vaccini disponibili in Italia. L’individuo potrà scegliere quello che preferisce o sarà obbligato alla somministrazione di una tipologia scelta da qualcun altro? Le persone si stanno già facendo delle idee, delle opinioni, se quello Pfizer è più sicuro del Moderna o viceversa. Ma la preoccupazione più grande è che ogni tipo di obbligatorietà, ripeto, crea reazioni negative fortissime che l’Italia non deve permettersi».
Teme delle rivolte?
«Si formerebbero partiti pro-vaccini e partiti contro-vaccini. Grandi discussioni di piazza e su tutti i media che aumenterebbero il caos intorno a un concetto che, in realtà, è semplice: i vaccini aiuteranno a combattere il Coronavirus e gli effetti collaterali, seppur ci saranno, avranno percentuali trascurabili. Sarà l’evidenza scientifica a convincere le persone, non l’obbligatorietà. La polemica che ne scaturirebbe renderebbe più difficile l’accettazione del vaccino stesso e la negazione si trasformerebbe in un atto di ribellione».
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