Coronavirus, i numeri in chiaro. Sebastiani: «Le scuole vanno riaperte solo quando avremo ripreso il controllo del tracciamento»
In Italia, sale di nuovo la curva dei contagi da Coronavirus. Nelle ultime 24 ore sono infatti +25.853 i nuovi casi registrati e diffusi dal bollettino della Protezione civile e del Ministero della Salute. Ieri, le nuove infezioni erano state 23.232. Salgono a quota 1.480.874 i contagi avvenuti dall’inizio dell’emergenza sanitaria. I dati arrivano a fronte di un incremento di 230.007 tamponi, più dei 188.659 eseguiti ieri. Nell’ultima giornata, sono morte 722 persone. Ieri erano 853. Il totale dei morti ha raggiunto quota 53.028. Con dati simili, spiega il matematico Giovanni Sebastiani, «dovremmo evitare un “libera tutti”» generalizzato.
Professore, qual è lo scenario odierno?
«La possibilità che avevo prospettato qualche giorno fa è divenuta realtà dopo che abbiamo acquisito i dati degli ultimi giorni: finalmente ci siamo lasciati alle spalle il picco dei contagi. Questo fatto non è casuale: è il risultato in primis delle misure introdotte dal governo a partire dal Dpcm del 13 ottobre, fino a quello del 3 novembre, ma soprattutto dei sacrifici dei cittadini italiani».
Come sta cambiando la percentuale dei nuovi positivi sui nuovi casi testati?
«Questa variabile ci dice che la circolazione del virus ha raggiunto il picco il 15 novembre circa. Naturalmente la localizzazione del picco sarà sempre più accurata man mano che avremo i dati dei prossimi giorni. Attenzione comunque perché siamo solo nella fase iniziale di discesa, non siamo ancora in “caduta libera”. Dobbiamo quindi tenere alta la guardia. Inoltre, il risultato a livello nazionale non vale per tutte le regioni, alcune delle quali non hanno ancora raggiunto il picco del contagio».
Qual è invece la situazione per quanto riguarda terapie intensive e decessi?
«Dall’andamento delle curve dei ricoverati con sintomi e di quelli in terapia intensiva, ci aspettiamo che il picco sia raggiunto in pochi giorni. Diverso è il discorso per la curva del numero totale dei decessi che, come sappiamo teoricamente, avrà un picco ritardato e ora cresce in modo lineare con un aumento medio negli ultimi dieci giorni di circa 680 al giorno. Questo valore è solo il 10% più basso di quello relativo al periodo 21-30 marzo (760 nuovi decessi al giorno), in cui anche allora la curva cresceva in modo lineare prima di iniziare a decelerare».
In prospettiva, come la giudica una riapertura delle scuole?
«Innanzi tutto, come per il rilascio di altre misure di contenimento della diffusione dell’epidemia, riattiverei la didattica in presenza solo quando abbiamo ripreso il controllo dell’epidemia, ossia siamo in grado di tracciare i contatti dei positivi. Poiché inoltre dobbiamo ancora passare la fase più critica, cioè quella di gennaio-febbraio dove storicamente si ha il picco dell’influenza e dove ci aspettiamo ci siano le condizioni migliori anche per la circolazione del Coronavirus, la prudenza suggerisce di aspettare che sia passato quel periodo prima di ripartire. Indipendentemente da quando sarà riattivata la didattica in presenza, alla luce dei problemi cronici dei trasporti, sarebbe opportuno che le lezioni per le superiori fossero di pomeriggio. Inoltre dovrebbero essere periodicamente effettuati test rapidi, magari di gruppo, agli studenti e andrebbe fortemente incentivato tra loro l’uso dell’app Immuni».
Se dovesse fare un paragone con gli altri Paesi europei?
«Lo stato europeo che nella seconda fase dell’epidemia ha subito i danni maggiori, la Francia, ha messo in atto prima di noi misure rigorose ed ora ci precede nella fase di rilascio graduale delle misure restrittive. Situazione simile in altri Stati. Dobbiamo far tesoro della strategia vincente adottata dal nostro governo alla fine del lockdown, che tra l’altro ha previsto il rilascio graduale. Dobbiamo evitare il “liberi tutti”».
Il tracciamento può essere considerato ancora nel caos?
«Finché abbiamo valori d’incidenza nell’ordine di decine di migliaia di nuovi casi al giorno, il tracciamento “manuale” dei positivi non è possibile. Un grande errore è stato quello di non aver puntato in modo serio sull’app Immuni, sia risolvendo i problemi legati al suo utilizzo, sia arrivando a farla usare da almeno il 30% della popolazione che ha grande mobilità».
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