La delusione di Garattini (Istituto Negri): «Il modello Lombardia? Che figuraccia tra vaccini antinfluenzali in ritardo e medici abbandonati»
Profondamente deluso. Il professor Silvio Garattini, 92 anni, non usa parole dolci quando viene chiamato a descrivere la gestione del Coronavirus da parte della sanità lombarda. Medico e farmacologo, è il fondatore nel 1963 e attualmente presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. Uno scienziato di lungo corso, che dopo ormai mesi di lotta al virus, non risparmia dure valutazioni su quella che, come ha ribadito al Corriere, «dovrebbe essere la punta di diamante del Paese» e che invece «ha fatto una figuraccia».
Il riferimento è alla Regione Lombardia e alla mancata capacità, secondo il professore, «di dare una linea». Medici lasciati troppo soli nelle trincee, ritardi inspiegabili e un vaccino anti-influenzale che non basta. «L’ho fatto lunedì», dice Garantini, «ma sono tra i fortunati. Ero in lista d’attesa come migliaia di altri pensionati, il mio medico ha ricevuto le dosi, ma non bastano per tutti i richiedenti». La figuraccia di cui parla lo scienziato è racchiusa in questa descrizione. Alle fasce più a rischio non viene attualmente garantita la possibilità dell’anti-influenzale e il timore è che i ritardi possano verificarsi anche per le dosi dei vaccini anti Covid in arrivo.
«Che gli Stati richiedano i dati sui vaccini»
A questo proposito Garattini si associa alle invocazioni, arrivate negli ultimi giorni da parte di altri colleghi, sulla diffusione dei dati riguardanti i vaccini più prossimi alla validazione. «Dobbiamo fare in modo che i dati sui risultati vengano resi pubblici» ha detto lo scienziato, «senza trasparenza siamo fermi ai comunicati stampa». Il compito di richiedere i dati spetterebbe ai governi e «agli Stati che hanno finanziato in parte le ricerche», un modo secondo il professore anche per «non alimentare il margine di chi dichiara di non volersi vaccinare». Il massimo auspicabile sarebbe poi anche l’idea di togliere il brevetto alle singole azienda, «affinché non si faccia business con la salute», ma questa per il professore rimane una possibilità «piuttosto difficile» da vedere realizzata.
In quanto ai prossimi mesi sarà necessario per Garattini essere consapevole di come il vaccino non potrà essere certo panacea di tutti i mali. «Sarebbe un cattivo messaggio quello di lasciar credere che non ci saranno più regole da rispettare e che con il vaccino si possa risolvere tutto», ribadisce. Un’attenzione che lo scienziato chiede anche alle istituzioni. «Dovrà essere il tempo di una rivoluzione del sistema sanitario e culturale del Paese», continua, che porti all’idea della scienza «come educazione alla vita» e non come «argomento da bar».
«Un esercito in campo per garantire la pace»
Pochi posti nelle terapie intensive, scarsa medicina sul territorio, tagli agli ospedali pubblici, poche risorse per la ricerca. Questi i punti deboli che secondo Garattini «ci hanno fatto trovare impreparati» alla pandemia e che potranno farlo ancora. Lo scenario futuro nella proposta del professore è quello di trattare il ministero della Salute come quello alla Difesa. «Sulla Sanità bisogna ragionare in termini di riserva disponibile», spiega, «a che cosa servono corazzate, aerei, armi, caserme? Sono un deterrente, una misura preventiva per evitare la guerra come si fa con la Difesa: ora serve un esercito in campo per garantire la pace».
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