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La ricerca rallentata dal Coronavirus. «Il vaccino oncologico, fermo per mesi, è ora pronto per la sperimentazione sull’uomo» – L’intervista

25 Novembre 2020 - 20:53 Giada Giorgi
Nei laboratori dell’Humanitas di Rozzano, alle porte di Milano, la professoressa Maria Rescigno è alle prese con un vaccino terapeutico contro i melanomi e i sarcomi. E sul vaccino anti Covid invita: «Fidiamoci della scienza»

Oltre alla corsa al vaccino anti-Covid, considerata centrale per l’uscita definitiva dalla pandemia, c’è tutto un mondo di ricerca scientifica che di correre, anche e soprattutto a riflettori spenti, non ha mai smesso. La professoressa Maria Rescigno passa le sue giornate nei laboratori di ricerca dell’Ospedale Humanitas di Rozzano. Biologa, prima al Cnr con un dottorato in Farmacologia e Tossicologia, direttrice poi dell’Unità di ricerca sulle cellule dendritiche ed immunoterapia nel Dipartimento di Oncologia sperimentale all’Istituto europeo di Oncologia, ora lavora per la realizzazione di un vaccino terapeutico contro i melanomi e i sarcomi metastatici.

8 gruppi di ricerca, finanziati dalla Fondazione AIRC attraverso un programma dedicato alle metastasi e realizzato grazie ai fondi 5×1000, andranno avanti, insieme alla professoressa Rescigno, con l’obiettivo di fornire una formula efficace ai pazienti malati di tumore. Il programma ideato da Una ricerca decisiva per tutte le persone in attesa di una soluzione oncologica ancora più efficace di quelle esistenti, e che l’attuale situazione epidemica ha rallentato in maniera importante.

La dottoressa Maria Rescigno

Professoressa, come sta andando la sperimentazione del vaccino oncologico?

«Siamo stati fermi per molti mesi, la situazione Covid che sappiamo bene aver rallentato le possibilità di cura dei pazienti oncologici, ha intaccato anche il lavoro della ricerca. Nonostante questo non abbiamo mollato, dopo la realizzazione di un candidato vaccino e le pratiche necessarie con gli enti regolatori, ora siamo pronti per partire con la sperimentazione sull’uomo. Ci crediamo molto e speriamo di non dover più subire rallentamenti, la soluzione va portata al letto del paziente il più velocemente possibile».

Qual è l’obiettivo?

«L’immunoterapia ha cambiato in modo fondamentale la prognosi di alcuni tumori fino a poco tempo fa considerati incurabili. Ma c’è ancora qualcosa da fare. Una percentuale di pazienti non risponde ai trattamenti che usano i cosiddetti “inibitori dei check-point immunitari” (ICB). Si tratta di farmaci che tolgono il freno al sistema immunitario e lo indirizzano contro il tumore. La mancanza di risposta immunitaria che si verifica in alcuni pazienti è il problema da risolvere.

Da qui l’idea di aiutare l’immunoterapia attraverso un vaccino terapeutico capace di creare le condizioni ideali per il successo degli ICB. Il primo studio clinico previsto nel programma si concentra su pazienti con melanoma metastastico. Un secondo studio sarà invece incentrato sul sarcoma, che oggi non viene trattato con farmaci immunoterapici».

Si riferisce alle chemioterapie?

«Esattamente. Anche in questo secondo caso vogliamo dare forza alla terapia standard creando una base immunitaria più attiva contro il tumore. Se le cellule immunitarie del paziente non ci sono o sono troppo scarse, le terapie attualmente disponibili, come le chemioterapie, rischiano di non essere sufficientemente efficaci».

Quindi la nuova formula potrebbe diventare la cura alternativa per i pazienti malati di tumore che attualmente non rispondono ai trattamenti esistenti.

«La sperimentazione mirerà proprio a questo. Su questa falsa riga sarà possibile lavorare per creare vaccini terapeutici anche per altri tipi di cancro. Almeno in linea di principio, la strategia basata sulla vaccinazione potrebbe essere utilizzata poi in tutti i pazienti per aumentare le loro probabilità di rispondere ai trattamenti successivi».

Ha parlato di 7 anni per attraversare tutte le fasi della sperimentazione. Da addetta ai lavori, come consiglia di rapportarci al vaccino anti Covid realizzato in molto meno tempo?

«Con fiducia. Personalmente mi fido molto degli enti regolatori che avranno l’ultima parola sulla validazione delle formule candidate. Si sta parlando, per l’Europa, dell’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, e per gli Stati Uniti, della FDA, Food and Drugs Administration. Sono delle eccellenze con un grado di serietà indubbio. Non mi preoccuperei sulla sicurezza dei vaccini diffusi, quanto sull’efficacia. Ma anche su questo le percentuali finora annunciate sembrano essere incoraggianti».

Alle prese con una pandemia sconvolgente, la ricerca scientifica sembra al centro delle speranze di un’intera umanità, a partire dai governi. Consapevolezza occasionale o reale possibilità che qualcuno abbia imparato la lezione?

«Difficile dirlo. I Paesi più sviluppati e industrializzati sono quelli dove si investe in ricerca. Non è un caso. Si tratta di un volano sotto molti aspetti per una nazione e quello che spero è che nel futuro si cominci a capire sul serio l’importanza di tutto questo. Non so se la lezione sarà accolta come spunto di una strategia da attuare nel superamento delle crisi future, certamente quello che sta succedendo è un grosso monito anche per gli anni che ci aspettano. Non è un caso che i candidati vaccini attualmente più avanti siano arrivati da luoghi in cui l’investimento sulla scienza è sempre stato più forte.

L’Italia a questo proposito ha delle eccellenze enormi ma sembra sottovalutarle. Gli ultimi dati sui finanziamenti europei molto prestigiosi dati dall’ERC (European Research Council), ha visto l’Italia come fanalino di coda per il numero di ricercatori finanziati che lavorano in Italia. Ma ha anche visto gli italiani al secondo posto in tutta Europa per il numero di ricercatori sostenuti che lavorano all’estero. Continuiamo a sfornare dei talenti che non riusciamo a trattenere».

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