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Uscire dal lockdown con lo screening di massa come in Alto Adige? Crisanti: «Non è un modello, è una pezza»

26 Novembre 2020 - 08:47 Riccardo Liberatore
La provincia di Bolzano è orgogliosa del risultato. Ma per il Direttore del Dipartimento di Medicina molecolare presso l’Università di Padova, i test usati non sono abbastanza affidabili. Andrebbero ripetuti più volte e con restrizioni. L’opposto di quello che ha deciso di fare Arno Kompatscher

Mentre la curva del contagio sembra appiattirsi gradualmente – il direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza si dice «cautamente ottimista» – l’Alto Adige va avanti da solo per cercare di uscire dal lockdown. Già a fine ottobre il presidente Arno Kompatscher aveva firmato un’ordinanza più morbida – in contrasto con le disposizioni nazionali – che prevedeva l’apertura dei bar e dei ristoranti rispettivamente fino alle 20 e alle 22 – per poi fare marcia indietro, arrivando ad introdurre un divieto di spostamento da casa nei primi giorni di novembre. Ma i casi di Coronavirus hanno continuato a salire. Nello scorso weekend, invece, Kompatscher ha implementato uno screening di massa con tamponi antigenici su 350 mila persone, puntando tutto sull’isolamento dei positivi. Lo ha fatto per un costo di circa 3,5 milioni di euro, un sforzo che è stato premiato dall’alta affluenza, e che, alla fine, l’ha portato a decidere la revoca del lockdown totale, a partire da lunedì 30 novembre.

L’affluenza record: trovati 3.185 positivi

Come ha funzionato il modello Alto Adige? Si tratta di un tentativo unico in Italia, che ha coinvolto in tutto 116 comuni con 184 punti aperti. Un’impresa molto complicata – oltre che costosa – dal punto di vista logistico. Come spiega a Open Massimo Ribetto, referente regionale di Nursing Up, il sindacato di infermieri molto attivo anche a Bolzano, oltre all’impegno dell’azienda sanitaria è stato chiesto aiuto anche ad altro personale della Croce rossa e della Croce Bianca e a volontari dall’Austria e dal Veneto. Una mobilitazione impressionante, tanto che «tra le tante persone che hanno dato la loro disponibilità, a molti dipendenti dell’azienda sanitaria è stato detto che non servivano più».

In totale parliamo di circa 900-1.000 persone al giorno, anche durante il weekend. Il loro sforzo è stato ripagato da una partecipazione diffusa da parte degli altoatesini, che è stata addirittura superiore rispetto alle aspettative dell’amministrazione: hanno partecipato circa 350 mila cittadini (di età superiore ai 5 anni) su un totale di circa 530 mila abitanti. Il monitoraggio ha permesso di identificare 3.185 positivi, pari a circa lo 0,9% dei partecipanti.

Per capire se questa strategia ha funzionato, bisognerà aspettare i prossimi giorni per vedere se l’indice di trasmissibilità del virus (Rt) scenderà effettivamente sotto la soglia dell’1, come auspicato da Kompatscher, che ha già annunciato la riapertura di negozi, mercati e attività commerciali tra cui parrucchieri ed estetisti a partire dal 30 novembre. Ma sarà sufficiente un solo screening? Potrebbe essere un modello replicabile?

Test poco efficaci e problemi logistici: ecco perché non si può replicare su scala nazionale

I dubbi, per la verità, sono parecchi. Innanzitutto, i test usati non sono i tamponi “da laboratorio”, ma test antigenici che danno un risultato in circa 15 minuti. Pochissimo tempo. E, come dichiara a Open il medico Andrea Crisanti, «i test rapidi hanno una sensibilità bassa e su 10 positivi se ne perdono circa 3». Il giudizio di Crisanti, che in Veneto aveva proposto una strategia di screening di massa, è lapidario: «Nel giro di due settimane i casi ripartiranno. Il modello dell’Alto-Adige non è un modello, è un pezza».

Se anche si desse per assodato che «uno screening con un test rapido fatto una volta sola su una popolazione limitata può abbattere temporaneamente la prevalenza del virus, non sarebbe in grado di individuare tutti i positivi», aggiunge. Insomma, al di là dell’utilizzo dei test antigenici anziché dei tamponi, bisognerebbe ripetere i test almeno 2 o 3 volte, accompagnandolo con nuove misure di lockdown. Ovvero, l’opposto di quello che intende fare l’Alto Adige.

Al di là di questo, spiega ancora Crisanti, che pure è stato il primo ad insistere sulla necessità del tracciare il più possibile, sarebbe difficilmente applicabile su scala nazionale anche al netto degli ostacoli logistici e finanziari. «Su macro-realtà i test rapidi fatti senza ripeterli a cadenze regolari non hanno senso. Il modo giusto è quello utilizzato a Liverpool: fare i test a tutta la città una volta a settimana per circa 4-5 settimane». Esistono alternative? «Il network-testing – dice il ricercatore – Una volta identificata una persona positiva si fa il tampone molecolare, non il tampone rapido, a tutti i contatti, amici e colleghi di lavoro. Lo abbiamo proposto più volte. Sarebbe una strategia molto meno costosa e più intelligente».

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