Iran, le parole del ministro israeliano Steinitz: «L’assassinio dello scienziato Fakhrizadeh? Utile al mondo»
Saranno celebrati lunedì i funerali di Mohsen Fakhrizadeh, l’ingegnere nucleare iraniano ucciso in un attentato a Teheran il 27 novembre. Il corpo sarà esposto, in un gesto simbolico, nel santuario dell’Imam sciita Reza nella città di Mashhad e anche in quello della sorella dell’Imam, Hazrat Masoumeh, a Qom, e infine nel mausoleo di Ruhollah Khomeini nella capitale.
Mentre l’attentato non è stato ancora rivendicato, il governo iraniano è sempre più certo che dietro alla morte dello scienziato ci sia Israele, come confermato anche sabato da alcune fonti dell’intelligence Usa al New York Times. E sulle stesse pagine del quotidiano americano è il ministro israeliano dell’Energia, Yuval Steinitz, a parlare e a definire l’omicidio dello scienziato – chiunque l’abbia commesso – «utile non solo a Israele ma anche all’intera regione e al mondo». La morte di Mohsen Fakhrizadeh è arrivata a una settimana dall’incontro svoltosi in Egitto tra il capo del Mossad, il premier Benjamin Netanyahu e il principe saudita Mohammad Bin Salman grazie all’intermediazione del segretario di Stato Usa Mike Pompeo.
La scomparsa di Fakhrizadeh
La scomparsa di Fakhrizadeh appare ad alcuni sempre più il culmine della strategia congiunta di Stati Uniti e Israele per sabotare il programma nucleare iraniano. Programma su cui Barack Obama, insieme agli membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu, più la Germania, aveva raggiunto un accordo nel 2015. Ma negli ultimi 4 anni l’Iran, nonostante la sua piena conformità alle richieste contenute nel testo, ha dovuto subire una campagna di massima pressione statunitense voluta dall’amministrazione Trump, andando incontro a pesanti sanzioni economiche.
Lo scorso 11 novembre, come rivelato dal New York Times, Trump aveva chiesto ai suoi consiglieri se fosse possibile bombardare un sito nucleare iraniano. I suoi advisors gli avrebbero spiegato che una mossa simile avrebbe potuto scatenare un conflitto regionale. Secondo molti analisti dunque, durante l’incontro con i suoi alleati regionali, Arabia Saudita e Israele, a Trump sarebbero state presentate “opzioni alternative”. Né Stati Uniti, né Israele hanno però fino ad oggi ammesso un qualsiasi coinvolgimento. Quel che è certo è però che a pochi mesi dall’insediamento del presidente eletto Joe Biden, che ha detto di essere pronto a una strategia più diplomatica e di dialogo, Teheran e Washington rischiano di allontanarsi ancora di più.
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