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I numeri in chiaro. Pregliasco: «Ci sarà una terza ondata ma la sua entità dipenderà da noi». E sul Natale: «Dovrà essere il più sobrio di sempre»

01 Dicembre 2020 - 21:08 Felice Florio
Il direttore sanitario dell’istituto Galeazzi di Milano guarda ai dati degli ultimi giorni con cauto ottimismo. «Bene le riduzioni di ricoveri e terapie intensive, adesso però bisogna scendere sotto i 10mila contagi giornalieri»

Sono numeri confortanti quelli del bollettino odierno della Protezione Civile e del ministero della Salute. C’è stato un incremento sostanziale nel numero di test diagnostici – 51.576 in più rispetto al giorno precedente -, e il numero dei nuovi casi positivi rilevati è aumentato di 2.973 unità (i nuovi contagi oggi sono 19.350). Ma è il rapporto tamponi/positivi a rimarcare la bontà dei dati di oggi, primo dicembre: la percentuale di positività è scesa al 10,6%, con un calo di due punti rispetto al 12,5% del 30 novembre.

Se per analizzare il trend della diffusione del Coronavirus nel Paese il numero di decessi quotidiano passa in secondo piano, «la notizia di altri 785 morti – 113 in più rispetto a ieri – è dolorosissima», sottolinea Fabrizio Pregliasco. Per il direttore sanitario dell’istituto Galeazzi di Milano, questo numero così elevato di vittime, che si continua a registrare a un mese di distanza dal Dpcm più restrittivo, «è figlio dell’andamento esponenziale dell’epidemia che si è avuto nel mese di ottobre».

Professore, gli esperti ipotizzavano che i decessi sarebbero calati costantemente a partire dalla scorsa settimana, eppure seguono un andamento altalenante. Come mai?

«Purtroppo, tra quei pazienti che tristemente non ce la fanno a superare la Covid-19, c’è chi arriva velocemente al decesso e chi, invece, muore alla fine di una lunga sofferenza in terapia intensiva. È un dato molto volatile che dipende da tanti fattori, ad esempio dalle condizioni di comorbidità del paziente. E questo è uno dei motivi per cui assistiamo a questo sfasamento temporale rispetto alle altre curve dell’epidemia».

A parte il dato relativo ai decessi, cosa si evince dal bollettino del primo dicembre?

«In termini assoluti, è interessante che si stanno riducendo i numeri dei ricoveri e delle terapie intensive occupate – i ricoveri sono scesi di 376 unità e le terapie intensive di 81 -. Ciò corrobora il fatto che i nuovi casi siano in fase di stazionamento. Sono segnali certamente positivi, ma non ancora soddisfacenti».

Cosa sarebbe, per lei, soddisfacente in questa fase epidemica?

«L’obiettivo da raggiungere per poter gestire questa situazione, in attesa della campagna vaccinale, deve essere quello di scendere quanto prima nel range di contagi giornalieri che va dai 5.000 ai 10.000 casi. Spero che ci arriveremo nell’arco di due, tre settimane al massimo».

Com’è, in questo momento, la pressione sulle strutture ospedaliere?

«Tutto sommato il valore del 30% di terapie intensive occupate, valore indicato come soglia di allarme dal governo, è superato di poco da gran parte delle regioni: è rassicurante che, nonostante la soglia sia stata oltrepassata, la saturazione attuale si aggiri intorno a quella cifra».

Si può procedere con un allentamento delle misure in vista delle festività?

«Assolutamente no. Non dobbiamo approfittare delle libertà che ci stiamo guadagnando. La gran parte degli italiani sta soffrendo, anche economicamente, per seguire le limitazioni. E dobbiamo resistere ancora perché, purtroppo, è prevedibile una terza ondata, o addirittura plurime ondate. L’andamento di sali e scendi è comune a molte epidemie».

E sarà inevitabile anche in quella di Sars-CoV-2?

«Credo proprio di sì, avremo altre ondate. La curva epidemica potrà raggiungere picchi diversi a seconda del nostro comportamento. La terza ondata, a gennaio o a febbraio, arriverà. Ecco perché bisognerà continuare a essere parsimoniosi nei contatti. Non possiamo sprecare quello che è stato fatto: dovrà essere il Natale più parsimonioso e sobrio delle nostre vite».

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