Il calcio è già più inclusivo: perché non deve stupire se ad arbitrare Juve – Dinamo Kiev in Champions sarà Stéphanie Frappart
Il suo nome non è nuovo, non per chi segue assiduamente il mondo del calcio. Dopo aver diretto lo scorso anno la finale di Supercoppa europea tra Chelsea e Liverpool a Istanbul, Stéphanie Frappart sarà ora la prima donna ad arbitrare una partita di Champions League. La sfida è quella tra Juventus e Dinamo Kiev, in programma mercoledì sera allo Stadium di Torino. Lei, che aveva già diretto in ambito femminile la finale dei mondiali del 2019 tra Usa e Olanda, ed era stata anche la prima donna ad esordire in una partita di Ligue 1, la Serie A francese, può raggiungere adesso un altro obiettivo e abbattere l’ennesimo muro nel mondo del calcio.
«Abbiamo provato che tecnicamente e fisicamente siamo come gli uomini. Non abbiamo paura di sbagliare», aveva detto lo scorso anno, in occasione della sua designazione per la finale di Europa League. Frappart, 37enne, nel 2014 fu anche la prima donna a usare il fischietto nella serie B francese. Un risultato non da poco visto le sole 900 donne tesserate come arbitri dalla Federazione d’Oltralpe, a fronte di più di 1.600 in Italia, dove la Serie A rimane comunque ancora un miraggio. A trascinare il resto d’Europa – secondo i dati diffusi da Truenumbers – c’è la Germania che conta il maggior numero di donne arbitre tra tutti i campionati: 2.253.
Ma non è solo Frappart ad aver infranto più di un muro. Nelle ultime ore Sara Gama, la capitana della Nazionale di calcio femminile, e difensore della Juventus, è stata eletta – prima donna nella storia – come vicepresidente dell’Associazione Italiana Calciatori. La 31enne, con alle spalle anche due anni al Paris Saint-German, è diventata uno dei volti più riconoscibili del movimento del calcio femminile a livello mondiale. Tanto che pure la nota collezione della Mattel, pensata per raccontare le donne iconiche che hanno cambiato il mondo, le ha dedicato una Barbie. Risultati che più che alla straordinarietà, aprono la strada alla normalità. Quella di uno sport fatto di uomini e donne, e di professionalità.
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