Coronavirus, la Puglia nel caos: record di ricoveri in terapia intensiva, ospedali strapieni e reparti sotto sequestro
Si va verso un’Italia tutta in zona gialla, ha annunciato il governo spiegando che, seppur lentamente, i contagi stanno scendendo. Eppure, guardando il Sud Italia non tutto sembra tornare, in particolare dirigendosi verso la Puglia. Un primo elemento, soprattutto, è sospetto: nelle ultime settimane di gestione della pandemia, mentre nella regione l’indice Rt cala, altri indicatori raggiungono cifre preoccupanti e si stanno esaurendo i posti letto nei presidi ospedalieri più importanti. In aggiunta, le inchieste giudiziarie sul Policlinico di Bari, la mancanza di personale, le dosi di vaccino antinfluenzale mai arrivate, il focolaio scoppiato tra il personale del 118 del capoluogo sono tutti fattori che pesano sulla tenuta della sanità pugliese. E chi non è affetto da Coronavirus, per curare le altre patologie, è costretto a ricorrere alle cliniche private.
I dati allarmanti
Nel bollettino del 3 dicembre, risalta un dato su tutti: la Puglia è la regione con il numero più alto di ingressi in terapia intensiva, ben 33 nelle ultime 24 ore. E c’è un altro record preoccupante che riguarda il tacco dello Stivale: il rapporto tamponi/positivi. Su 8.753 test analizzati, sono stati 1.602 le nuove infezioni al Sars-CoV-2 registrate. La percentuale del rapporto è del 18,3%. Per comprendere l’entità di questo dato, basti pensare che il rapporto tamponi/positivi della Lombardia, oggi, è pari al 10,3% e, a livello nazionale, la percentuale si ferma al 10,2%.
Insomma, l’epidemia, in Puglia, corre. Il sistema di test e tracciamento non riesce a starle dietro. Un altro elemento che restituisce la criticità della situazione nella regione è il numero totale di terapie intensive occupate: sono 226, nessuna regione del Sud Italia arriva a questa cifra. La seconda ondata si sta abbattendo sui pugliesi con una virulenza mai saggiata da quando è scoppiata la pandemia: attualmente, i cittadini positivi nelle sei province della regione sono 41.749. Quasi tre volte il numero di chi, invece, è guarito dalla Covid-19 da febbraio scorso ad oggi: 15.912 persone.
Giovanni Sebastiani è un ricercatore del Cnr che si occupa di studiare l’applicazione di modelli statistici alla medicina. Soffermandosi sul caso pugliese, il matematico evidenzia che «le terapie intensive mostrano una tendenza iniziale alla stabilizzazione. Negli ultimi cinque giorni sembrerebbe che si stia raggiungendo il plateau». L’andamento delle terapie intensive pugliesi, però, «appare in ritardo rispetto a quelle nazionali, dato che aveva raggiunto il suo picco tra il 24 e il 25 novembre. La Puglia è indietro di circa una settimana».
Ma l’elemento che preoccupa di più Sebastiani è la percentuale casi testati/positivi: «Questo grafico mostra che il virus circola ancora a forte velocità in Puglia. La tendenza è opposta a quella nazionale: in Italia, il 14 novembre si è raggiunto il picco del rapporto casi testati/positivi. Dieci giorni dopo, si è raggiunto il picco delle terapie intensive. In Puglia succede esattamente l’opposto. Se le terapie intensive pugliesi stanno raggiungendo il picco in questi giorni, il plateau del rapporto tra casi testati/positivi sembra ancora lontano. E si attesta intorno a un preoccupante 40%».
Le criticità degli ospedali: cliniche sature e interventi sospesi
Mentre la Regione si dice pronta a intervenire per aumentare i posti letto nei presidi ospedalieri, sono molteplici i racconti di chi non è riuscito a farsi visitare da un medico o ha dovuto attendere ore ed ore prima di essere spostato dall’ambulanza a un reparto. Come il 65enne residente a Bari che ha dovuto girare quattro ospedali del capoluogo, in piena crisi respiratoria, prima di trovare un posto letto per il ricovero. I malati Covid, in Puglia, occupano circa il 50% dei posti letto disponibili, sia nella degenza ordinaria sia in terapia intensiva. Percentuale che va ben oltre le soglie di allarme del 30% e del 40% indicate dal ministero della Salute.
Per questo si è passati a una rapida conversione degli ospedali della provincia barese in presidi per il Covid: sono state dedicate alla pandemia le strutture del San Paolo, del Policlinico e del Di Venere di Bari, del Perinei di Altamura, degli ospedali di Putignano, Conversano e Terlizzi. La Regione sta cercando di procedere in tutta fretta all’allestimento di 160 posti letto alla Fiera del Levante. Costo dell’operazione? Circa 8 milioni di euro. Ma le problematiche non riguardano soltanto la gestione dei pazienti Covid.
«All’ospedale San Paolo abbiamo chiuso i reparti di pediatria, ginecologica, medicina e ortopedia – racconta un medico della struttura, il quale preferisce restare anonimo -. Tutte le patologie afferenti a queste divisioni non possono essere trattate. Il problema è che anche gli ospedali che non sono stati convertiti integralmente al Covid hanno una riduzione dei posti letto e molti trattamenti di chirurgia restano inevasi. «Purtroppo – dice – stanno saltando operazioni necessarie che non hanno niente a che vedere con il Coronavirus».
Al Di Venere, altro ospedale centrale nella gestione della salute nel Barese, sarebbero attivi per i pazienti non Covid solo quattro posti in chirurgia e quattro in urologia: un numero estremamente ridotto rispetto alla domanda di cure che, normalmente, arriva nel presidio del quartiere Carbonara. «In questa situazione, chi può permetterselo si cura nelle strutture private. Per gli altri, invece, le attese possono diventare infinite». Il medico racconta che persino “le urgenze”, quando arrivano al San Paolo di Bari, se non sono Covid, devono essere trasferite altrove. «Iniziano le telefonate del personale del 118, con i vari rimpalli tra diversi ospedali», e dice che la situazione si è ulteriormente aggravata con il sequestro di alcuni reparti al Policlinico di Bari.
A proposito del 118, si sono segnalati casi di attesa di oltre sei ore davanti ai pronto soccorso delle ambulanze, prima di poter sbarellare il paziente. Nella centrale operativa del 118 di Bari, poi, 15 dipendenti su 30 sono fuori servizio perché positivi al Covid. Ed è esemplificativo il caso di Bitonto: l’unica ambulanza presente nel Comune di 60mila abitanti è ferma da giorni perché due operatori dell’ex ospedale cittadino si sono contagiati e non sono stati rimpiazzati.
I casi di legionella al Policlinico di Bari e il documento sull’emergenza
Nel pieno della tempesta che coinvolge la sanità pugliese, si è abbattuto anche il fulmine giudiziario lanciato dalla procura del capoluogo. Nel più grande ospedale pugliese, il Policlinico di Bari, sono stati sequestrati alcuni plessi dei padiglioni Chini e Asclepios: sono due i fascicoli aperti dalla magistratura per i quattro pazienti morti nell’ospedale in seguito a infezioni di legionella. L’ultimo decesso è avvenuto il 18 settembre 2020 e, secondo l’accusa, ci sarebbero state delle mancanze nella bonifica degli ambienti ospedalieri. Il gip Giuseppe De Benedictis parla di «conclamata e provata inerzia delle autorità sanitarie, pur ampiamente informate».
Questa situazione grava pesantemente sulle capacità di ricoverare, al Policlinico, pazienti se non per motivazioni legate al Covid. Open è entrata in possesso di un documento che il dottor Vito Procacci, primario del pronto soccorso del Policlinico di Bari, ha indirizzato al direttore sanitario e alla centrale operativa del 118. «La chiusura del padiglione Chini – scrive – ha praticamente azzerato la possibilità di ricoverare nel Policlinico pazienti non Covid di pertinenza internistica generale o specialistica». Procacci, nel testo firmato il 2 dicembre, segnala come la situazione in pronto soccorso sia insostenibile: «Sono allettati 12 pazienti nella shock room, di cui alcuni ormai da sette giorni, con impossibilità nella gestione dell’accoglienza dei codici rossi».
Procacci lascia anche trasparire come, almeno nella provincia, ci sia una «scarsa ricettività di strutture esterne al Policlinico e la mancanza di un servizio stabile di bed management di area vasta». Il primario elenca poi sei richieste «urgenti» da adottare «per evitare eventi avversi». Tra queste, «l’istituzione di un servizio di bed management», a questo punto assente in Puglia per gestire i trasferimenti presidi ospedalieri, «il rinforzo del personale medico, infermieristico e oss», questione annosa della sanità pugliese, e la richiesta al direttore del 118 di indirizzare al Policlinico «esclusivamente pazienti Covid e non Covid in codice rosso, definito da politrauma, insufficienza coronarica acuta, grave insufficienza respiratoria e cardiorespiratoria, aritmie a rischio di vita, arresto cardiaco, shock, stato di coma, ictus».
Insomma, o il paziente è in serio pericolo di morire, oppure il più grande ospedale pugliese non è nelle condizioni di accoglierlo. In questo scenario, la procura barese ha avviato un’inchiesta conoscitiva sulle mancate assunzioni di personale per il tracciamento e sui ritardi nel piano per la seconda ondata. Ancora, la campagna vaccinale antinfluenzale è partita mutilata dalle 890mila dosi mai arrivate dei farmaci biologici pattuiti tramite gara. Scarseggiano le Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale: dovrebbero essere una ogni 50mila abitanti, secondo un decreto legge del 9 marzo scorso. Almeno 80, quindi, in una regione che conta più di 4 milioni di abitanti. Invece, quelle attive in Puglia sarebbero soltanto 54.
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