Il governo appeso al filo del Mes, otto senatori M5s terrorizzano la maggioranza. Delrio: «Se votano no, non ha senso andare avanti»
I numeri perché il governo non inciampi mercoledì 9 dicembre al Senato ci sarebbero, o almeno così assicurano i vertici del M5s, ma lo spazio per mettere altra polvere sotto il tappeto è ormai finito. Lo scontro sul voto per la riforma del Mes resta un crocevia per la tenuta del governo, nel quale sono i grillini a giocare la partita più complicata. Il capo politico Vito Crimi e Luigi Di Maio da ieri garantiscono che i gruppi M5s voteranno la risoluzione unitaria di maggioranza e che il governo non cadrà.
Prima però ci sono ancora almeno otto senatori grillini da convincere, abbastanza per mantenere alta la tensione nella maggioranza. La posta in gioco non è solo la tenuta del governo, ma la credibilità dell’Italia in Europa, avverte il capogruppo Pd alla Camera Graziano Delrio a la Repubblica. Votare no al Mes significherebbe dire no all’Europa, un ritorno al Conte uno: «Allora è evidente che non avrebbe più senso portare avanti questa esperienza».
La spaccatura riemersa nella maggioranza sul Mes, tanto sulla sua riforma quanto sulla possibilità di usarlo, è solo l’ultimo nervo scoperto a essere toccato. Ci pensa Delrio a rifare la mappatura delle promesse rimaste in sospeso, quegli accordi presi all’ordine del governo Conte due che ne ha permesso la nascita con l’alleanza tra M5s e Pd. Ai grillini come il ministro Vincenzo Spadafora, che ancora ieri a Il Foglio minacciava i dem di smetterla con le provocazioni spingendo i grillini su posizioni che non condividono, Delrio ricorda che ci sono ancora patti da rispettare: «Noi del Pd ci siamo fatti concavi e convessi», per esempio quando c’è stato da approvare il taglio dei parlamentari: «Abbiamo detto sì, ma a patto che venissero portate avanti le riforme collegate. Ora però – aggiunge – quei nodi vanno risolti definitivamente, nei tempi e nei modi giusti. Altrimenti la fatica dell’alleanza si farà sentire».
La fronda grillina
Una fatica che usura la pazienza su entrambi i fronti. Perché non fa eccezione quello grillino, dove secondo La Stampa ci sarebbero tra i sei e gli otto senatori che minacciano ancora di votare No mercoledì, con la maggioranza aggrappata ai voti dei senatori a vita Mario Monti ed Elena Cattaneo e alle possibili assenze strategiche dei senatori di Forza Italia dissidenti, pur di mantenere il margine risicato a palazzo Madama che è proprio dei sei voti. Tra i ribelli ci sono Elio Lannutti, Barbara Lezzi e Orietta Vanin, seguiti da Bianca Granato e Mattia Crucioli. E poi c’è il presidente della commissione antimafia Nicola Morra, oltre ai voti in forse di Rosa Amato, Fabio Di Micco e Cataldo Mininno.
Se qualcuno di questi potrebbe restare convinto del proprio No, altri potrebbero uscire dall’aula ed evitare imbarazzi ai vertici del Movimento. Ma il segnale è ormai partito, al quale sempre mercoledì potrebbe seguirne un altro. Alla Camera si voterà sul pacchetto Sicurezza, per il quale una trentina di grillini sarebbero pronti a votare contro la maggioranza e il governo. Altro nodo che viene al pettine eredità del primo governo Conte e che rilancia l’avvertimento di Delrio e di Nicola Zingaretti, per i quali non è più tempo di «tirare a campare».
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