Il ’68 in formato paradiso fiscale. L’incredibile storia dell’Isola delle Rose sbarca su Netflix – Il video
Nel 1968 un ragazzo bolognese laureato da poco in ingegneria, Giorgio Rosa, decide di costruire a soli 500 metri dal confine delle acque territoriali italiane un’isola. Fatta di tubi in acciaio e colate di cemento, è l’utopia di una repubblica galleggiante poi diventata realtà, finché, un anno dopo, non è stata abbattuta e il caso è finito davanti al Consiglio d’Europa a Strasburgo. Quella vicenda, non troppo conosciuta per la verità, è diventata un film. Si intitola L’incredibile storia dell’Isola delle Rose ed è disponibile da domani, 9 dicembre, su Netflix. Con il ritmo e le tinte di I love Radio Rock – gioiellino firmato Richard Curtis -, la pellicola porta la cifra inconfondibile di Sidney Sibilia, regista della saga Smetto quando voglio.
«Questo film racconta che niente è impossibile, che ognuno di noi è potentissimo e può costruire il mondo che gli piace», ha detto Sibilia, sintetizzando il motivo che lo ha spinto a dirigere questo lavoro davvero spassoso. La storia dell’Isola delle Rose è interpretata da Elio Germano, calato perfettamente nei panni dell’ingegnere bolognese, tanto da riuscire anche a riprodurne la parlata, come se a Bologna ci vivesse da sempre.
Su quella piattaforma artificiale, nata al largo di Rimini ma in acque extraterritoriali, il fondatore aveva adottato come lingua ufficiale l’esperanto, si era dato una propria valuta monetaria, un governo, un’emissione postale. Su quell’isola, proclamatasi indipendente il primo maggio 1968 e demolita nel febbraio del 1969, c’era una sola regola: l’assenza di regole. E la libertà individuale era il valore assoluto e fondante. «Sulla terraferma la burocrazia era soffocante – ha raccontato Rosa nel suo memoriale pubblicato dalla stampa inglese –. L’idea era di sfruttare il turismo e vendere benzina senza le accise, aprire un bar e un ufficio postale, emettere francobolli. Sarebbero sorte altre iniziative, sull’esempio di altri micro paesi indipendenti, come San Marino. La cosa avrebbe retto: dove c’è libertà c’è ricchezza».
Da albergo a polo sessantottino
«La sua intenzione era di fare un albergo, un luogo di intrattenimento», dice Walter Veltroni, ex sindaco di Roma ed ex segretario del Partito Democratico, a Open che – nella seconda vita da scrittore – ha raccontato l’ingegnere e il suo progetto nel libro L’isola e le Rose (edizioni Bur). «La cosa era partita per vocazione commerciale, non c’era nessun sogno romantico di sottofondo. Poi col tempo è diventato il frutto anche delle lotte sessantottine, con quella vocazione libertaria e rivoluzionaria. Era diventata quindi una piattaforma dove accogliere una comunità di artisti, poeti, musicisti, amanti della bellezza». Si leggono i grandi romanzi dell’epoca, i ragazzi ascoltano i Beatles e i Rolling Stones.
Così quell’isola diventa un’attrazione turistica, meta di navi che cambiano rotta all’improvviso pur di avvicinarsi il più possibile al nuovo stato in mezzo all’acqua. Chi è in spiaggia, sale a bordo di barchette e barconi per essere trasportato sulla terra dell’indipendenza, fatta di cemento e acciaio. E intanto là sopra sorgono, appunto, un bar-ristorante e un ufficio postale che emette francobolli. Ma per Rosa non è abbastanza, il progetto è sì ambizioso, ma bisogna fare di più: «Progetta allora di allungare l’isola per farne una pista di lancio per il futuro aeroporto in mezzo al mare» – che non vedrà mai la luce -, e di estenderla in altezza per aprire negozi di souvenir.
La disfatta
«Chi ci ha vissuto l’ha descritta come un’esperienza surreale, a tratti terrificante per quanto profonda, e Rosa credeva sarebbe rimasta in piedi per sempre, non aveva minimamente calcolato gli imprevisti del caso», racconta Veltroni. Già, perché quel paradiso fiscale allo Stato italiano non piaceva, anzi, a dire la verità un po’ lo intimoriva: un avamposto di libertà in un mondo diviso. «Cominciava allora a serpeggiare l’idea che potesse essere una base missilistica cinese, che gli albanesi per conto dei cinesi avessero dato vita a una specie di luogo militare per attaccare l’Italia. Si parlava di base per lo sfruttamento della prostituzione».
«La cosa incredibile – dice Sibilia – è che l’isola viene mandata in frantumi da una dimostrazione di forza da parte della politica (e infatti sono esilaranti i dialoghi tra capi di governo, ministri e personalità della Chiesa ndr) che lo accuserà di colpe insensate: fondazione di una radio pirata, contrabbando ed evasione fiscale, sfruttamento abusivo di risorse energetiche, atti osceni e perversione». Alla fine, l’Italia dichiarerà perfino guerra a Giorgio Rosa. «Una guerra che la Repubblica Italiana ripudia, secondo la sua stessa Costituzione. Una guerra che non dovrebbe mai essere utilizzata come soluzione alle dispute internazionali. Eppure, all’Isola delle Rose fu dichiarata guerra. L’unica guerra di aggressione mai combattuta dalla Repubblica Italiana», conclude il regista. E il limite delle acque territoriali verrà spostato da 6 a 12 miglia. In tutto il mondo.
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