Brexit, niente accordo dopo la cena tra Johnson e von der Leyen. I negoziati andranno avanti fino a domenica
I negoziati andranno avanti fino a domenica. È questa la sentenza, anticipata da una fonte di Downing Street della lunga cena tra Boris Johnson e Ursula von der Leyen che si è tenuta a Bruxelles. Nella giornata del 7 dicembre il premier britannico e la presidente della Commissione europea hanno avuto un colloquio telefonico nel tentativo di prendere in mano la trattativa sulla Brexit e cercare di sbloccare l’impasse sull’uscita dal blocco europeo. Il Regno Unito ha lasciato l’Unione europea il 31 gennaio, ma è rimasto parte degli accordi commerciali e di viaggio dell’Ue. Il 1° gennaio 2021, con o senza accordo, quei legami saranno definitivamente interrotti. Al momento, si apprende, le distanze tra Johnson e von der Leyen rimangono ancora «molto ampie» ma i negoziati andranno avanti fino a domenica. Dopo si avrà una risposta netta: o deal, o no deal.
I tre nodi da sciogliere
A quattro anni dal referendum, la prospettiva di una Hard Brexit, ovvero di un’uscita senza accordo si fa quindi sempre più probabile. Né Bruxelles, né Londra sono pronte a cedere sulle rispettive richieste. In particolare sono tre i nodi da sciogliere. Il primo è quello della parità di condizioni, o level playing field, ossia l’allineamento che Bruxelles vorrebbe da Londra sugli aiuti di Stato e su norme come quelle relative alle tutele ambientali o ai diritti dei lavoratori a garanzia d’una futura concorrenza leale. La seconda questione è la pesca, con la definizione dello sfruttamento delle acque tra Gran Bretagna, Francia e Danimarca. La terza è la governance, cioè a quale a organismo giuridico demandare le dispute future.
Gli effetti di una rottura
Ma non solo. Dopo il primo gennaio, nel caso di un no deal, ovvero di un mancato accordo, i rapporti tra Unione europea e Regno Unito cambieranno su più fronti. La scorsa settimana, l’ufficio britannico per la responsabilità di bilancio ha avvertito che industrie manifatturiere, servizi finanziari e attività agricole saranno quelle più colpite da un no deal, provocando così un’ulteriore contrazione del 2% del pil inglese oltre alle perdite già portate dal Coronavirus.
Alimenti
Secondo l’Ufficio di Gabinetto presieduto dal primo ministro, riporta il Guardian, circa il 30% del cibo consumato nel Regno Unito viene importato dall’Ue, con il 10% che arriva attraverso la Manica. In caso di un mancato accordo i prezzi subirebbero dei rialzi a causa delle tariffe imposte da Bruxelles. I prezzi, secondo un’analisi del governo, potrebbero aumentare del 3–5% e a farne le spese saranno le famiglie a basso reddito. Oltre a questo, il Regno Unito, hanno avvertito gli esperti, dovrebbe prepararsi per mesi di carenza di cibo a partire da gennaio a causa di ritardi nelle consegne.
Pesca
Uno dei fronti più caldi nel braccio di ferro tra Ue e Regno Unito è quello sulla pesca. Con un no deal Londra otterrebbe il pieno controllo delle sue acque e avrebbe anche il diritto di bloccare l’accesso ai pescherecci europei. In particolare, a farne le spese sarebbero Danimarca, Francia e Olanda, e quei villaggi dell’Ue che si affacciano sulla Manica la cui sussistenza dipende da anni dalle attività di pesca.
Commercio
Un divorzio tra Ue e Regno Unito senza un accordo porterebbe entrambe le parti a doversi rifare alle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio per l’imposizione di tariffe e dazi. Uno scenario che porterebbe soprattutto Londra a doversi vedere improvvisamente imporre tariffe su beni che esporta in tutto il blocco. Mediamente, le tariffe dell’Ue sui prodotti importati dentro al blocco sono del 2,8% circa per i prodotti non agricoli, 10% per le automobili e di oltre il 35% per i prodotti lattiero-caseari. Inoltre, senza l’accordo, i prodotti che arrivano dal Regno Unito potrebbero essere fermati alla frontiera, causando ritardi.
Visti e studio
L’uscita del Regno Unito dall’Ue segna la fine delle agevolazioni sulle tasse universitarie. Il che costringerà i cittadini europei che si recheranno a studiare nelle università inglesi a dover pagare le tasse previste per gli studenti internazionali con costi molto elevati. Per quanto riguarda la libertà di movimento, i cittadini inglesi potranno continuare a viaggiare nella maggior parte dei paesi dell’Ue senza visto, ma potrebbero aver bisogno di un permesso di soggiorno per periodi lunghi di lavoro, studio o viaggi d’affari.
In sostanza, il diritto per i cittadini inglese di soggiornare e lavorare nei Paesi europei liberamente potrebbe non essere più automatico, a meno che non risiedano già in un Paese europeo entro la fine del 2020. Viceversa, anche i cittadini europei che intendono lavorare nel Regno Unito dovranno superare un sistema a punti che premia i lavoratori più specializzati.
La questione irlandese
Il nodo sul confine tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord è stato tra i più dibattuti e contestati nel lungo processo di divorzio tra Londra e Bruxelles. Dopo il referendum del 2016, una delle prime condizioni imposta dall’Ue era quella di evitare un confine tra Irlanda e Irlanda del Nord, confine che per trent’anni è stato teatro di una guerra civile tra le due Irlande. Per questo Bruxelles aveva proposto che Belfast rimanesse all’interno dell’unione doganale europea, e che venissero quindi applicati controlli tra le merci in transito da Belfast a Londra.
Ma, ad ottobre, in una mossa criticata anche da membri del suo partito, Johnson ha deciso di eliminare le dogane violando, secondo l’Unione europea, l’articolo 5 dell’accordo di uscita. Su questo, Johnson sembra, alla fine, aver mostrato un piccolo ramoscello d’ulivo annunciando la disponibilità a rimuovere dall’Internal market bill la clausola tanto contestata dall’Ue, che rivendica al Regno il potere di violare il diritto internazionale e modificare unilateralmente alcuni punti dell’intesa di divorzio con l’Ue, in particolare sui controlli ai confini irlandesi.
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