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Riders: il diritto del lavoro alla prova della GIG economy

09 Dicembre 2020 - 10:34 Tommaso Erboli
La qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro gestiti da piattaforme digitali è una questione aperta e ancora irrisolta.

Se con il termine GIG economy intendiamo un modello economico dove il posto fisso cede il passo a una molteplicità di prestazioni lavorative rese on demand, ossia a richiesta del consumatore o fruitore della prestazione, ci rendiamo subito conto che la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro dei rider è sicuramente una delle sfide che l’economia reale tende al diritto del lavoro. Lo scorso gennaio la Corte di Cassazione aveva provato a mettere ordine tra le diverse opinioni emerse nei tribunali escludendo che i rider (gli addetti alle consegne delle piattaforme di food delivery) potessero qualificarsi come lavoratori subordinati, in quanto sostanzialmente liberi di scegliere se e quando lavorare (Cass. Civile, Sezione Lavoro, n. 1663 del 24 gennaio 2020).

L’intervento della Suprema Corte, tuttavia, non è risultato risolutivo. L’ispettorato del Lavoro, infatti, con la circolare n. 7 del 30 ottobre 2020 ha invitato gli ispettori a porre attenzione non solo alla fase iniziale dell’attività del rider (su cui si è concentrata la decisione della Cassazione), ma anche a quella successiva, al fine di distinguere tra ciclo-fattorini effettivamente autonomi e rider etero-organizzati, ai quali riconoscere le tutele proprie del lavoro subordinato. Ove, infatti, la piattaforma informatica utilizzata dal rider elida ogni margine di autonomia nell’esecuzione della prestazione lavorativa (per esempio, attraverso un sistema di malus che rende di fatto impossibile rifiutare una consegna), l’attività che ne risulta è da ritenersi etero-organizzata, se non già subordinata.

L’apertura è stata colta dal Tribunale di Palermo che, con una corposa sentenza pubblicata il 24 novembre scorso, si è concentrato sull’opportunità di attribuire rilievo alla fisionomia che l’attività dei rider assume nel tempo, attraverso i caratteri della stabilità, della continuità e della durata. In questa prospettiva il Tribunale ha ritenuto che, a ben vedere, nessun rider è realmente libero di autodeterminarsi in merito alle effettive modalità di svolgimento della propria giornata lavorativa. È infatti la piattaforma digitale (o meglio l’algoritmo che ne è alla base) a definire quello che, in buona sostanza, è l’orario di lavoro dell’addetto alle consegne, il cui unico margine di autonomia è limitato alla possibilità di selezionare i turni predefiniti dal sistema.

Inoltre, non si può ignorare come ad ogni rider sia implicitamente tenuto a una serie di condotte propedeutiche all’effettivo svolgimento della loro prestazione lavorativa. È infatti prassi che, ancor prima di ricevere formalmente l’incarico dalla piattaforma, ciascun rider dovrà prepararsi per essere effettivamente a disposizione una volta ricevuto l’incarico. Il rider sarà tenuto, quindi, a connettersi al software e ad avvicinarsi con il proprio mezzo ai locali convenzionati con l’azienda di food delivery.

Anche questi aspetti sanciscono la dipendenza del rider dalla piattaforma e, secondo il Tribunale di Palermo, impongono di considerare il rapporto come subordinato. Una nuova pagina, insomma, è stata scritta, e la qualificazione giuridica del rapporto dei riders si conferma essere una questione aperta.

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