Caso Regeni, Magdi Sharif è il coetaneo di Giulio accusato di averlo torturato e ammazzato – Documenti e video
Dei quattro funzionari della National Security egiziana accusati di aver rapito il ricercatore italiano Giulio Regeni, i cui nomi erano stati rivelati da Open ormai quasi due anni fa, Magdi Sharif è l’unico su cui le accuse di sequestro di persona si sommano a quelle di omicidio volontario aggravato e di lesioni gravissime come si legge nel capo di imputazione che chiude le indagini e darà l’avvio ad un complicato processo in contumacia (all’epoca della morte di Giulio Regeni, ha spiegato il pm Sergio Colaiocco, non esisteva ancora il reato di tortura che quindi non è stato possibile contestare).
L’unico presente alle torture e l’unico che si sia vantato circa un anno dopo, in un ristorante con un collega, in Kenya, di aver colpito personalmente quel ragazzo che “voleva fomentare un gruppo di persone per avviare una nuova rivoluzione in Egitto”. Ma chi è dunque Magdi Ibrahim Abdelal Sharif? Prima di tutto è il più giovane e il meno graduato dei quattro ufficiali iscritti al registro degli indagati dal pm di Roma Sergio Colaiocco perché coinvolti nel sequestro e quindi nella morte del giovane ricercatore italiano, avvenuto il 25 gennaio 2016. All’epoca dei fatti aveva 32 anni, praticamente un coetaneo di Giulio, che era appena quattro anni più piccolo. E fin dall’inizio è il più attivo, quello che si occupa del caso dal momento della denuncia da parte dell’informatore che accusava Regeni di tramare contro la sicurezza dell’Egitto fino alla sua morte.
Il pedinamento di Giulio
E’ il 7 dicembre quando proprio Magdi Sharif chiede all’informatore Mohammed Abdallah di portare Giulio al mercato di Masr Al Giadida, per un primo pedinamento. Dieci giorni dopo, il 18 dicembre, sempre Sharif dà una nuova indicazione: Abdallah deve informarsi della borsa di studio, da 10mila sterline di cui Regeni aveva parlato ad alcuni sindacalisti, spiegando come sarebbe stata finanziata la sua ricerca sul campo e che, secondo l’ambulante, avrebbe dovuto rappresentare un tentativo di corruzione.
Il maggiore è quello più presente in tutta la fase che porta poi al sequestro di Giulio. Dal 8 al 21 gennaio, si registrano 13 contatti tra Sharif e Abdallah, il 22 gennaio spiega sempre all’informatore che sarà importante capire (attraverso un pedinamento) cosa farà Regeni la sera del 25 gennaio: il rapimento di Giulio coincide con l’anniversario della rivolta di piazza Tahrir.
Il racconto al ristorante: “L’ho colpito io, eravamo arrabbiati”
E di quella sera è lui a parlare, un anno e mezzo dopo, in un ristorante di Nairobi in Kenya. Il testimone che lo ricorda, che la procura ha chiamato “Gamma” nell’audizione di oggi davanti alla commissione di inchiesta parlamentare, fa un racconto molto chiaro, spiega che è lui stesso a presentarsi come Magdi Sharif al suo commensale, uno 007 keniota. E cosa dice Sharif?
“Racconta di uno studente italiano, un dottorando, che cercava di fomentare un gruppo di persone al fine di avviare un’altra rivoluzione. Dice che questo italiano poteva essere della Cia o del Mossad, poi aggiunge che era della fondazione Antipode (quella che diede a Regeni una borsa di studio da 10mila sterline ndr) che spingeva per l’avvio di una rivoluzione in Egitto”.
Sempre Sharif, a sentire il testimone Gamma, si vanta di averlo colpito:
“Diceva che loro ne avevano avuto abbastanza, avevano avviato delle intercettazioni telefoniche, un giorno avevano sentito che doveva andare ad una festa a piazza Tahrir e prima che arrivasse al ristorante l’avevano fermato. Erano molto arrabbiati, poi usando la prima persona (Sharif) affermava di averlo colpito, diceva che si trattava di Giulio Regeni”.
La stanza delle torture
Infine, sono gli ultimi due testimoni, quelli che vedono Regeni già in manette, prima nella stazione di polizia di Dokki, in pieno centro, appena dopo essere stato fermato, a confermare che l’unico presente con certezza è Magdi Sharif. In particolare “Delta”, altro nome in codice per uno dei testimoni, dice di aver visto Regeni arrivare alla stazione di polizia e poi essere portato via, bendato, verso quella che l’ultimo testimone individua come la stanza dove vengono torturati gli stranieri accusati di tramare contro lo stato egiziano:
“Regeni è arrivato scortato da quattro agenti, uno aveva un telefono in mano. Successivamente è stato fatto salire su un auto, bendato, poi e poi condotto in una sede della National Security, a Lazougly. Uno dei poliziotti si chiamava Sharif. L’altro Mohammed ma non so se è il vero nome”
Anche al momento delle torture, poi descritte dall’ultimo testimone Epsilon, il giovane Magdi Sharif è in prima linea.
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