Il nuovo Coronavirus presente in Italia da novembre 2019? Il report dei CDC non basta. Facciamo il punto
Emerging Infectious Diseases, rivista dei CDC americani (Centers for Disease Control and Prevention), ha pubblicato un report firmato dai ricercatori italiani delle università di Milano e Newfoundland, in Canada, dove affermano di aver trovato evidenze di RNA del nuovo Coronavirus in un tampone oro-faringeo raccolto da un bimbo di quattro anni, ricoverato in Italia per sospetto morbillo nei primi giorni del dicembre del 2019.
Una malattia simile a quella di Kawasaki si è rivelata esser associata in alcuni rari casi, nei bimbi positivi al SARS-CoV-2, questa presenterebbe sintomi abbastanza simili alla varicella o al morbillo. Ci sono ancora forti dibattiti in merito, e si sospetta che si tratti di una sindrome diversa e più grave della Kawasaki.
Se questo caso venisse confermato in un successivo studio vero e proprio, anticiperebbe di almeno tre mesi il primo focolaio di Codogno, registrato in Lombardia nel febbraio 2020. Tutto sembra combaciare con quanto suggerito (ripetiamo: suggerito) in alcuni studi sulla filogenesi del virus e sulle analisi delle acque reflue. Altri studi tendono ad anticipare l’origine del Coronavirus a Wuhan. È stata anche suggerita (ripetiamo: suggerita) una finestra tra ottobre e dicembre, entro la quale sarebbe emerso il SARS-CoV-2 per la prima volta in Cina.
Altri studi, come quello che anticipava la comparsa della Covid-19 in Italia a settembre, non possono essere considerati attendibili, in quanto frutto di analisi sugli anticorpi specifici, i quali per cross-reattività potrebbero casualmente risultare neutralizzanti anche per altri virus.
Questo report invece si basa su un test molecolare PCR, che rileva direttamente le tracce genomiche del virus. Non parliamo ancora di uno studio vero e proprio, dove sarebbe possibile analizzare direttamente i dati e le metodologie. La stessa sequenza genetica – nel momento in cui scriviamo – non risulta ancora depositata nel database internazionale GenBank, cosa che effettivamente richiede del tempo e non dipende certo dai ricercatori.
Effettivamente rimangono diverse incognite che lasciano scettici diversi esperti. Vediamo prima come sarebbe emersa questa presunta scoperta.
Come è avvenuta l’analisi
I ricercatori hanno attinto da 39 campioni oro-faringei raccolti tra il settembre 2019 e il febbraio 2020, nell’ottica di monitorare sospetti casi di morbillo e rosolia, rivelatisi negativi ai rispettivi patogeni. Tutti i campioni genomici erano stati conservati a -80°C (sappiamo infatti che l’RNA è piuttosto fragile e questo ha ripercussioni simili anche nella conservazione dei vaccini basati su filamenti di RNA messaggero). Così i ricercatori hanno provato a vedere se da questi era possibile amplificare la porzione di RNA che codifica la glicoproteina Spike (S), ovvero l’antigene del SARS-CoV-2.
«I primer utilizzati durante la prima fase di amplificazione erano Out_f 5?-AGGCTGCGTTATAGCTTGGA-3 ? e MaSi_Ar 5?-ACACTGACACCACCAAAAGAAC-3 ?. I primer utilizzati per la seconda fase sono stati SiMa_Bf 5?-TCTTGATTCTAAGGTTGGTGGT-3 ? e MaSi Ar 5?-ACACTGACACCACCAAAAGAAC-3 ?. Anche i controlli positivi e negativi sono stati inclusi in ciascun test PCR ed eseguiti come previsto – continuano i ricercatori – Un campione di tampone orofaringeo è risultato positivo. L’amplicone è stato sequenziato utilizzando la tecnologia Sanger, ottenendo una sequenza di 409 bp […] è stata identificata in un campione raccolto da un bambino di 4 anni che viveva nei dintorni di Milano e non aveva precedenti di viaggio segnalati».
Non è possibile che i Coronavirus comuni codifichino lo stesso antigene del SARS-CoV-2, e l’unico sospetto ammissibile al momento è che possa esserci stata una «cross-contaminazione», ovvero una contaminazione non intenzionale dei campioni. Il professor Roberto Burioni fa notare per esempio, che per l’amplificazione della traccia genetica è stato usato un test PCR «fatto in casa», non quello comunemente utilizzato per riscontrare i casi positivi al Sars-Cov-2 oggi nel mondo:
«E’ indispensabile essere molto cauti riguardo alla notizia del bambino che avrebbe contratto COVID-19 a Milano nel dicembre 2019 – continua il Virologo – Leggendo il lavoro con attenzione si scopre che la sequenza virale determinata è identica a quella di molti virus che stanno circolando. Questo non permette di escludere che si tratti di una contaminazione, più facile se si usa un test PCR “fatto in casa” come quello descritto dai colleghi. La ricerca è molto interessante, ma per affermare che il virus era qui dall’anno scorso ci vogliono dati più solidi».
Un ceppo del SARS-CoV-2 circolava in Italia già nel novembre 2019?
Nel report i ricercatori riportano che il bambino aveva mostrato i primi sintomi il 21 novembre, ma nel titolare il paper fanno riferimento ai primi di dicembre, quando si hanno evidenze di eruzioni cutanee simili al morbillo.
A livello di metodo siamo molto lontani da quello discutibile utilizzato nello studio dell’Istituto Tumori, che avrebbe datato il Coronavirus a settembre. Tuttavia gli stessi autori di quest’ultimo report ammettono che la qualità del campione non era eccellente, in quanto oro-faringeo e ottenuto tardivamente. Quanto è stato amplificato con la PCR avrebbe corrispondenze con l’isolato originale di Wuhan, ma questo potrebbe risultare anche con frammenti altrettanto limitati di Coronavirus comuni. Gli autori del report non riescono nemmeno a stabilire di che ceppo si tratterebbe:
«Ceppi precedenti potrebbero anche essere stati occasionalmente importati in Italia e in altri paesi europei durante questo periodo, manifestandosi con casi sporadici o piccoli cluster auto-limitanti. Queste importazioni avrebbero potuto essere diverse dal ceppo che si è diffuso in Italia durante i primi mesi del 2020 – spiegano gli autori – Sfortunatamente, il campione di tampone, che è stato raccolto per la diagnosi del morbillo, non era ottimale per il rilevamento della SARS-CoV-2 perché era piuttosto un orofaringeo rispetto a un campione su tampone rinofaringeo ed è stato raccolto 14 giorni dopo la comparsa dei sintomi, quando la diffusione virale è ridotta. Inoltre, lo scongelamento potrebbe aver parzialmente degradato l’RNA, impedendo il sequenziamento di regioni genomiche più lunghe che avrebbero potuto essere utili per determinare l’origine del ceppo».
I ricercatori sono molto equilibrati nell’esporre i loro risultati. Nella regione attorno a Wuhan è plausibile che si siano generati sporadicamente dei ceppi poi morti sul nascere, prima dell’esplosione vera e propria dell’epidemia, sul finire del 2019. Tuttavia non è chiaro come mai ci siamo accorti della Covid-19 in Lombardia solo tre mesi dopo, col focolaio di Codogno. In Cina queste discrepanze possiamo spiegarle col regime oscurantista di Pechino, che fino all’ultimo ha cercato di censurare e poi minimizzare l’entità dell’epidemia.
Conclusioni
Si è parlato di Coronavirus presente in Italia fin da gennaio, mascherato dai casi di polmoniti anomale registrate in quel periodo, ma non ne siamo ancora del tutto certi. Insomma, prima di avere l’ultima parola, occorre leggere uno studio vero e proprio. Sappiamo che in questo momento diversi esperti stanno chiedendo i dati agli autori, sul test PCR utilizzato e sul sequenziamento del RNA, in modo da escludere ogni eventuale errore. Ricordiamo, per esempio, che i test molecolari standard dovrebbero tener conto di determinati limiti dello strumento e dei campionamenti eseguiti.
Quindi il report pubblicato dai CDC americani dimostra sul serio che il nuovo Coronavirus circolasse in Italia fin dal novembre 2019? Non è detto. Aggiorneremo l’articolo se emergeranno novità rilevanti.
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Foto di copertina: ANSA/Marco Ottico | La zona rossa viene riaperta a Codogno, 9 Marzo 2020.
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