Recovery Fund, le politiche attive passano anche dagli asili nido. Quanto costa migliorarli e quanto tempo ci vorrebbe
Sono tanti, storici, i fondi che si attendono dal programma Nex Generation Eu. Il Recovery Fund – letteralmente il fondo di recupero – darà all’Italia un ristoro potenziale di circa 209 miliardi. Eppure, nonostante la cifra destinata al nostro Paese sia la più alta d’Europa, la coperta continua a sembrare troppo corta. Dopo le critiche sul Recovery plan arrivate in merito alla sanità, settore al quale sono stati destinati 9 miliardi di euro (la cifra più piccola in assoluto, nonostante la prova del Covid), a chiedere ulteriori finanziamenti è anche il settore della scuola in tutte le sue sfaccettature. Tra i campi apparentemente “minori” ce n’è uno che fa particolarmente la differenza nella vita delle famiglie (e delle donne): gli asili nido. I dettagli sulla distribuzione dei miliardi non sono stati ancora definiti, ma è già possibile capire quanti ce ne vorrebbero per creare un sistema che funzioni sul lungo periodo.
L’ipotesi Colao: raggiungere il 60% dei bambini in 3 anni
La necessità di ampliare i posti nei nidi pubblici e privati è stata segnalata più volte nell’ottica delle politiche attive. A citarla era stato anche il piano stilato dalla task force di Vittorio Colao, pur insistendo nello specifico sulla natalità e non sul lavoro dei genitori: secondo gli esperti, è necessario «estendere l’offerta raggiungendo in 3 anni il 60% dei bambini eliminando le differenze territoriali tra Centro, Nord e Mezzogiorno», pensando anche alla loro apertura in orari flessibili e nei weekend. Il co-finanziamento europeo necessario sarebbe di circa 2,9 miliardi di euro. La disponibilità di nidi è ancora bassa (25%) – scriveva la task force nel piano, riferendosi ai dati Istat del 2018 – e fortemente differenziata sul territorio. Attualmente al Sud solo il 10% dei bambini ha l’opportunità di frequentare il nido. «La carenza dei nidi – scrivevano ancora gli esperti – causa l’accentuarsi del problema della conciliazione dei tempi di vita e limita la possibilità di soddisfare il desiderio di maternità e paternità».
I dubbi sulla fattibilità
Sì, ma come realizzare l’obiettivo? E soprattutto, i soldi del Recovery Possono essere sufficienti per raggiungere in 3 anni ben oltre la metà dei bambini sotto i 4 anni? E saremo in grado poi di andare avanti con le nostre gambe quando saranno passati i 7 anni di aiuti? Secondo una ricerca di In genere, una rivista online che si occupa di approfondimenti economici e sociali da una prospettiva di genere, un piano del genere ha bisogno di orizzonti più concreti. Affinché funzioni davvero sul lungo periodo deve rispondere a tre criteri: fattibilità, cantierabilità, e sostenibilità finanziaria.
Un piano più sostenibile: il 40% di bambini in 6 anni
Secondo l’indagine di Francesca Bettio e Elena Gentili, autrici del report su In genere, per pensare a un piano fattibile ed efficace bisogna darsi come obiettivo quello di raggiungere il 40% dei bambini nel giro di 6 anni (il 15% in più rispetto a ora). Per farlo servirebbe anche estendere il tempo pieno (40 ore settimanali) a tutti i posti delle pre-materne (pubblici e privati, vecchi e nuovi) e all’intera scuola materna nel giro di 5 anni. Allungare l’orario di apertura – cosa richiesta anche dalla task force di Colao – comporta la necessità di aumentare gli educatori. Secondo l’indagine, la proposta degli esperti non è realistica sul lungo periodo: con un tempo pieno di 40 ore settimanali tra nido e materne, il fabbisogno aggiuntivo di educatori è di circa 51 mila unità. Secondo quanto riportato da Almalaurea, però, dall’università ne escono solo 7.500 l’anno.
Difficile, quindi, pur considerando il turnover, raggiungere l’obiettivo prima di un determinato lasso di tempo. Non solo: la costruzione delle strutture che ospitano i nuovi nidi dovrebbe richiedere un tempo di almeno 5 anni. Ridimensionare gli obiettivi rende l’operazione anche finanziariamente sostenibile. Il Recovery dovrebbe garantire per i primi anni circa 3,2 miliardi di euro a fondo perduto (o a tassi molto bassi). Poi, una volta finito il periodo dei finanziamenti europei, l’Italia si trova davanti a due scenari: se avrà investito bene il denaro, avrà bisogno di circa 16/17 milioni di euro annui da prelevare dal bilancio pubblico. Al contrario, qualora il sistema non riuscisse a stare in piedi da solo, potrebbero volercene fino a 350 ogni anno. In ogni caso, si tratta di una cifra modesta.
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