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Ritardi nascosti, centri smantellati e modelli ignorati: le ombre sull’operato di Guerra e Ricciardi nella gestione della pandemia

13 Dicembre 2020 - 07:50 Giada Ferraglioni
Le inefficienze che hanno impedito all’Italia di rispondere in tempo alla pandemia (e di limitare le morti) non riguarderebbero solo la presunta mancanza di un piano pandemico aggiornato

Un piano pandemico troppo vecchio e una bozza di aggiornamento inadeguata. Se il Coronavirus ha colpito duramente il nostro Paese è anche perché ci siamo arrivati più impreparati del previsto. E proprio su come l’Italia è giunta alle porte del febbraio 2020 che ora inchieste giornalistiche e giudiziarie stanno tentando di fare luce. Da una parte c’è Ranieri Guerra, numero due dell’Oms, finito sotto i riflettori internazionali perché avrebbe fatto pressioni e avanzato «minacce» affinché il report sulla gestione dell’epidemia in Italia venisse truccato e rimosso dal sito dell’Organizzazione.

Dall’altra c’è Walter Ricciardi, consigliere del Ministero della Salute, che avrebbe contribuito allo smantellamento del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, di cui gli esperti avevano progettato modelli matematici di risposta alle epidemie. Guerra e Ricciardi, due figure chiave nella gestione della pandemia in Italia, devono ora fare i conti con delle ombre non indifferenti che parrebbero cadere sul loro operato.

La vicenda del report An unprecedented challenge – Italy’s first response to COVID-19 è ormai nota alle cronache. È una storia che abbiamo imparato a conoscere in questi giorni attraverso le inchieste di Report e gli approfondimenti del Guardian. E mentre resta ancora molto da chiarire sul ruolo di Guerra nella sparizione del rapporto di Francesco Zambon – critico con l’Italia – e nelle insistenze in merito al ritocco della data, altri particolari vengono a galla. Uno di questi è la qualità dell’aggiornamento che l’Italia era intenzionata a fare sul Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale. L’altro è la responsabilità che Ricciardi avrebbe nell’aver «smantellato» un modello matematico che avrebbe potuto funzionare in chiave anti-Covid.

Il ruolo nelle indagini di Noi Denunceremo

Esiste una bozza della revisione del Piano nazionale pandemico risalente all’11 aprile del 2019. Il testo arriva nelle mani di Robert Lingard, responsabile della Comunicazione del Comitato Noi Denunceremo, che rappresenta e dà voce ai familiari delle persone decedute a Bergamo durante la cosiddetta prima ondata. Dopo un’attenta analisi, il Comitato lo consegna nella mani della Procura di Bergamo, che si sta occupando, tra le altre cose, di individuare i colpevoli per la mancata istituzione della zona rossa ad Alzano e Nembro.

Il loro interesse sulla questione è massimo: per capire se ci siano o meno responsabilità penali per quanto accaduto (e cioè per le migliaia di morti registrate in pochi mesi nel bergamasco), i magistrati devono capire se esisteva o meno un piano pandemico nazionale a cui i politici avrebbero potuto adeguarsi. I pm vorrebbero interrogare Zambon, ma per ora l’Oms non lo consente.

Intanto sono due sono le cose che emergono dal confronto tra il vecchio piano e la revisione che si voleva discutere ad aprile. La prima è che le modifiche e gli aggiornamenti non sono mai stati attuati. La seconda è che contenevano unicamente «linee guida generiche molto distanti da quello che dovrebbe essere un piano pandemico». Come spiegano dal Comitato, la bozza di revisione non è altro che la traduzione in italiano della check list redatta dall’Oms nelle indicazioni per i piani.

Non c’è mai stato un piano operativo

Secondo quanto dichiarato da Guerra, l’ultimo aggiornamento del piano italiano risale al 2017. Le nuove linee guide dell’Oms erano arrivate nel 2018, ma non si trattava di accorgimenti particolarmente rilevanti. I cambiamenti importanti erano stati stabiliti nel 2013, e cioè quando l’Organizzazione mondiale della sanità ha inserito il risk management: i vari Paesi avrebbero dovuto non solo stilare dei piani teorici, ma anche portare a termine delle esercitazioni che sarebbero dovute essere inserite nei piani come «lezioni apprese».

Dal Pandemic Influenza Risk Management dell’Oms, 2013

Ma perché allora c’era tutta questa urgenza di convocare una riunione per revisionare il piano di lavoro l’11 aprile 2019 se, come dice Guerra, il nostro piano era stato aggiornato l’ultima volta nel 2017? La domanda rimane appesa, anche se si fa sempre più largo l’ipotesi che non esista quell’aggiornamento (visto anche l’assenza, al suo interno, delle disposizioni del 2013). «Nei documenti che abbiamo ricevuto – dicono dal Comitato – il piano da aggiornare a cui si fa riferimento è quello del 2006. Nessuno fa mai riferimento a quello del 2017. Questa è la conferma che il piano che stavano rifacendo era quello di quattordici anni fa. E né quel il piano né la recente bozza di revisione contengono la parte operativa derivante dalle esercitazioni richiesta dall’Oms».

Le esercitazioni a cui fa riferimento l’Oms sono veri e propri calcoli delle necessità sulla base della densità dei vari territori. Ad esempio: quante mascherine devo stoccare per un’epidemia che dura quattro mesi? Quante per una che ne dure di più o di meno? Quante me ne servono Rsa e per i medici? O ancora: in base alla distribuzione della popolazione sul territorio, quanti laboratori devo avere destinati ai tamponi? Quanti reagenti devo tenere in stock? Quanti posti letto mi servono? Domande mai poste in nessuna versione del testo, come confermano dal Comitato.

Ricciardi e lo smantellamento del Centro di sorveglianza epidemiologica

Eppure non è la prima volta che si denuncia l’assenza di un piano pandemico aggiornato in Italia. Lo scorso settembre, Stefano Merler, ricercatore della Fondazione Bruno Kessler di Trento, aveva sottolineato come l’Italia avesse un piano vecchio di 12 anni. «Abbiamo pagato un prezzo altissimo per non aver aggiornato il piano pandemico per tutto questo tempo», aveva detto in un’intervista a la Repubblica.

Eppure lui stesso, negli anni in cui lavorava nel “Gruppo Epico” del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (Cnesps), aveva elaborato con altri ricercatori dei modelli di risposta matematici che avrebbero potuto dare risposte automatiche alle epidemia a seconda dei territori. Merler, autore del famoso primo piano anti-Covid secretato dal governo durante la prima ondata, è ora stato sentito come persona informata sui fatti dai magistrati di Bergamo.

I modelli elaborati nel 2006 dai ricercatori (tra cui Merler)

Come testimoniano alcune voci che ai tempi lavoravano nel Centro, quando nel 2014 Ricciardi divenne presidente dell’Istituto Superiore della Sanità «decise di depotenziare il Cnesps, disperdendone competenze tra le varie strutture dell’Istituto». Nel 2015 il Centro venne dismesso definitivamente. Secondo quanto raccontato più volte dall’ex direttrice Stefania Salmaso, nel novembre 2006 il Gruppo epico aveva creato un modello matematico-organizzativo funzionante ai fini di «attuare, in caso di pandemia, gli interventi medici e sociali necessari a fronteggiare l’emergenza». Un modello «in grado di approfondire gli aspetti legati all’eventuale diffusione di una nuova pandemia, non solo in termini di casi attesi, ma anche valutando l’impatto degli interventi delineati nel nuovo Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale».

Dal lavoro del Gruppo epico, “Scenari di diffusione e controllo di una pandemia influenzale in Italia”

La conclusione di una serie di scelte sbagliate è oggi sotto ai nostri occhi. E c’è un altro studio, quello dell’ex generale e responsabile della Scuola Interforze per la Difesa Nbc Pier Paolo Lunelli, in cui vengono riportate le criticità e le conseguenze di un mancato aggiornamento del del piano pandemico in Italia. Nell’analisi di Lunelli viene messa nero su bianco la correlazione tra vecchiezza di un piano e numero di morti: «La carente pianificazione di emergenza pandemica nazionale – scrive nelle sue conclusioni – ha precluso una corretta gestione sin dal momento del suo manifestarsi, probabilmente aprendo le porte al virus che è dilagato generando un altissimo tasso di mortalità nella regione Lombardia (più di 1600 vittime per milione di abitanti)».

Foto di copertina: ANSA/ANGELO CARCONI

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