Coronavirus, i numeri in chiaro. Il virologo Maga: «Sopra i 10 mila casi ancora a lungo. Le strade affollate? Le misure non funzionano se non collaboriamo»
Sono 17.938 i nuovi casi di contagio da Coronavirus registrati nelle ultime 24 ore in Italia secondo il bollettino reso noto da ministero della Salute e dalla Protezione Civile. Pochi i tamponi, 40 mila in meno rispetto al giorno prima, con un calo che conferma quanto accade nei weekend fin dall’inizio dell’emergenza. Dati che sembrano essere «in linea con quelli degli ultimi giorni. Vero è che il numero di casi è inferiore, ma abbiamo fatto anche meno tamponi e il rapporto si sposta leggermente in su, all’11%», spiega a Open il direttore dell’istituto di Genetica Molecolare del CNR di Pavia, Giovanni Maga.
Cosa ci raccontano i dati di oggi?
«La curva del rapporto dell’incidenza tra positivi e casi testati si sta appiattendo: non abbiamo più la diminuzione decisa che abbiamo visto fino alla settimana scorsa. I dati sembrano indicare che le misure che abbiamo messo in campo hanno ottenuto la massima efficienza e il massimo risultato possibili. Quindi da qui in avanti la situazione si stabilizzerà o al limite avrà un progressivo miglioramento man mano che aumenteranno i guariti e ci saranno meno ricoveri (anche oggi abbiamo avuto meno ingressi in terapia intensiva). In queste condizioni, non dobbiamo aspettarci un crollo dei casi. Quello che dobbiamo continuare a fare è tenere comportamenti improntati all’estrema prudenza per mantenere la situazione controllabile e darle tempo di migliorare».
Ci sono indicazioni che inducono all’ottimismo?
«Sì, almeno a guardare l’ultima analisi del Comitato tecnico scientifico. Al 6 dicembre, praticamente tutte le regioni (tranne il Molise) hanno un indice Rt, ovvero l’indice di trasmissibilità, inferiore a 1. Ma alcune sono ancora molto vicine a quel valore: per esempio il Friuli Venezia Giulia è a 0,97, Trento e il Veneto sono a 0,91. E ci sono ancora situazioni pesanti dal punto di vista del sistema sanitario, come rileva anche l’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità. La situazione sta migliorando e molte regioni si stanno avviando al di sotto delle soglie di criticità, ma ci sono alcune zone ancora pesantemente impegnate. Una tra tutte il Piemonte, che ha ancora valori sia di terapie intensive che di posti letto decisamente superiori alle soglie di attenzione».
Con queste restrizioni, a che numeri ci dobbiamo abituare? A una soglia – per esempio – di 10mila casi al giorno sotto alla quale è difficile scendere?
«Si tratta di una riflessione per cui servono più elementi. C’è da dire che nelle ultime settimane abbiamo fatto meno tamponi rispetto al periodo precedente. E questo potrebbe anche indicare che i tamponi ormai sono concentrati soprattutto o sui sintomatici o nei tracciamenti di contatti stretti: quindi in una popolazione dove c’è una maggiore probabilità di trovare dei positivi. Quindi questo rapporto potrebbe essere sovrastimato, così come il numero dei positivi potrebbe essere influenzato dal fatto che andiamo a campionare persone che probabilmente troveremo positive. Idealmente dovremmo cercare di scendere sotto 10 mila casi, magari arrivare anche a 5 mila. Il trend di oggi non sembra consentirci di arrivare rapidamente a questo risultato. Se continuiamo a essere molto attenti potremmo arrivare a queste cifre, ma non in maniera veloce. Se con questo trend riusciamo a continuare ad alleggerire il sistema sanitario e mantenere l’indice Rt – per quanto sottostimato – sotto a 1, la situazione resta sotto controllo».
Cosa pensa delle scene di strade affollate per lo shopping natalizio e del fatto che non ci siano più regioni rosse in tutta Italia?
«Se lo scopo fosse quello di dare uno scossone deciso e rapido all’epidemia, si sarebbe dovuto mantenere un controllo rigido. Ma bisogna trovare un compromesso tra la garanzia di un quadro sostenibile in sicurezza e l’aspetto economico e di sofferenza sociale. Un’epidemia non è soltanto il virus, ma anche tutto quello che si porta dietro. Al momento il quadro giustifica un parziale allentamento delle misure, ma sono allentamenti che devono essere gestiti soprattutto dai cittadini: le misure non funzionano se non collaborano».
Qual è il suo consiglio in merito a un possibile allentamento delle misure per Natale?
«Il mio consiglio personale è quello di festeggiare il Natale con chi abita in casa. La raccomandazione assoluta, condivisa da tutti gli esperti, è di usare sempre la mascherina. Anche nello shopping e a fronte di tante persone che girano per le strade: anche perché l’infezione per contatto è sempre stata minima. Con la mascherina, soprattutto, non si contaminano gli altri. Il virus non sta scomparendo: lo stiamo controllando. Ma siamo ancora in piena stagione epidemica. Pensiamo alla Germania, che sta optando per un lockdown totale. Dobbiamo essere molto responsabili se vogliamo evitare una situazione insostenibile a gennaio: la stagione influenzale è un po’ in ritardo ma il picco dell’influenza è sempre per gennaio-febbraio e la circolazione potrebbe cominciare già da ora».
Quindi che facciamo con gli spostamenti tra Comuni a Natale? Ha senso consentirli, oppure no?
«Guardando ai numeri di oggi possiamo anche consentirli. Ma poi bisogna vedere cosa significano: se portano a situazioni in cui le persone si ritrovano all’interno di case affollate senza rispettare le misure, allora avremo un problema. Se facciamo le cose con criterio, allora l’impatto degli spostamenti sarà modesto. Il principio fondamentale di un’epidemia è che ci deve essere il coinvolgimento della popolazione. Perché è la popolazione che è a rischio».
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