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Vaccino anti-Covid, l’architetto Boeri: «Arcuri? Uomo pragmatico. Con le ‘primule’ in piazza faremo meglio della Germania» – L’intervista

13 Dicembre 2020 - 21:35 Giada Giorgi
La telefonata al celebre architetto milanese è arrivata due settimane fa direttamente dal commissario all’emergenza. «Troviamo un modo per non far avere paura», dice a Open. Ma oltre al messaggio la priorità è di un progetto funzionale. Sarà così?

La corsa al vaccino anti-Covid ora si fa anche questione logistica. Quando le dosi arriveranno, sperando in tempi e modalità efficaci, il terreno su cui seminare dovrà essere bello che pronto. L’architetto Stefano Boeri ha pensato a questo quando due settimane fa è stato incaricato dal commissario all’emergenza Domenico Arcuri di pensare a strutture in cui vaccinare la popolazione per il prossimo anno e mezzo almeno. Padiglioni a forma di primula dislocati in tutte le piazze, l’Italia che rinasce come un fiore e tutto quanto di più poetico possa esserci nel tentativo di superare la tempesta. Ma chiaro è che, oltre all’ispirazione, il Paese di poeti e navigatori ha ora bisogno di un progetto che metta al primo posto la funzionalità.

Architetto Boeri, vaccini e fiori: perché?

«La proposta doveva essere in grado di arrivare a tutta la popolazione, di tutte le età, origine e cultura. Il messaggio poi doveva basarsi su un principio non aggressivo, ma allo stesso tempo non poteva invitare “al liberi tutti”. Da qui l’esclusione di una scritta “Vaccìnati”, troppo imperativa, o l’immagine di un abbraccio, troppo associabile all’idea di un vaccino come “bacchetta magica”. Allora il fiore».

Un rendering del padiglione con le primule progettato dallo studio Boeri

Per dire che cosa?

«L’idea di un Paese che rinasce agendo sul principio di solidarietà. Vaccinarsi è un gesto per se stessi e inevitabilmente per gli altri. Sul discorso della semplicità poi il fiore ci è sembrato l’oggetto più adatto, è il primo disegno che fa un bambino. A quel punto la scelta di quale fiore utilizzare ci ha creato qualche problema con l’utilizzo che molto spesso la politica ha fatto della botanica, si immaginerà quanto tutte le variazioni della margherita non sarebbero potute andar bene. Poi è arrivata l’idea della primula, presente nella storia dell’arte italiana e nella cultura. Per non parlare di Pasolini, il titolo del libro Un Paese di temporali e primule mi ha molto emozionato. E ancora l’idea di incarnare negli edifici stessi la figura del fiore per renderli più accoglienti. Andarsi a vaccinare non deve far paura».

La prima telefonata di chi è stata?

«Mi ha chiamato direttamente il commissario Arcuri».

«Boeri abbiamo bisogno di lei»?

«Una cosa del genere. Ha aggiunto di trovarsi in una situazione di grande urgenza e che serviva una campagna che potesse invitare quanti più cittadini possibili a vaccinarsi».

Ci sono state altre indicazioni?

«Mi ha spiegato che per una campagna di un anno e mezzo, la sua idea era quella di non utilizzare scuole o chiese, né tantomeno edifici dismessi che avrebbero avuto bisogno di essere riscaldati d’inverno e condizionati d’estate e quindi di risorse ingenti. Per cui la scelta su cui lavorare sarebbe dovuta essere quella di creare nuovi padiglioni, escludendo anche l’utilizzo di container».

Da lì l’idea di padiglioni a forma di primula in tutte le piazze italiane. Avete lavorato insieme per arrivarci o vi siete risentiti soltanto a proposta conclusa?

«Il dialogo con Arcuri è stato costante, ci siamo sentiti intensamente in questi giorni e ogni volta è stato un ottimo confronto. È un uomo molto pragmatico come lo sono io, per questo ci siamo trovati bene. Dalle idee di fondo ai dettagli su spazi e altezze».

L’Italia non è l’unico Paese che si sta preparando all’arrivo delle fiale anti Covid. La Germania ha pensato di sfruttare spazi molto ampi come siti di ex aeroporti o arene e tutti collocati fuori dai centri storici, ai confini delle città. Tutto l’opposto del progetto italiano. Non sarà che acquistando poesia perderemo in funzionalità?

«Qualche ora fa il New York Times ha parlato del lancio della campagna italiana riconoscendo al nostro Paese il primato per un progetto del genere. Sono uno che ha puntato all’utilità sociale in tutto quello che ha fatto, anche a volte a scapito dell’estetica. Certo che si può pensare a capannoni abbandonati ma bisogna tener conto dei costi che solo i riscaldamenti di una grande fabbrica abbandonata richiedono, e sono altissimi. In aggiunta ovviamente a tutto l’allestimento che serve.

I padiglioni che andremo a mettere avranno un’autosufficienza energetica e parte della superficie superiore sarà a panelli solari. Senza contare la biodegradabilità: solo legno per la struttura e tessuti ecologici all’interno. Dobbiamo toglierci dalla testa che in situazioni d’emergenza non sia possibile fare delle cose belle oltre che funzionali. Ho avuto un’altra prova di questo tipo quando ho lavorato ad Amatrice e Norcia: abbiamo fatto di tutto per fare in pochissimo tempo e a costi bassi una serie di edifici che fossero d’emergenza ma anche belli».

I centri storici non sono un rischio?

«I padiglioni sfruttano l’identità di un Paese che è e rimane un territorio di piazze, a differenza di altre Stati europei. Abbiamo bisogno di portare avanti una campagna capillare: nulla di più vicino è il cuore delle città e dei paesi in cui vivono. La Protezione Civile non ha uno stock di strutture temporanee per l’emergenze che ogni volta può fornire, e questa dei padiglioni ambisce ad essere un’architettura che potrà essere utilizzata anche in altre situazioni.

Il problema di porre le strutture fuori dal centro si pone relativamente: tutto il sistema di vaccinazione procederà sulla base di registrazioni, non ci sarà la folla che aspetta fuori. Ci sarà un’accettazione, una sala d’attesa e poi il proprio turno, con orari pensati per evitare assembramenti. Potrò sapere che alle ore 15 del 28 marzo avrò la mia vaccinazione nella piazza principale di Palermo o del paesino dell’appennino ligure. E tutto questo è molto più civile e funzionale di uno stadio o di una serie di capannoni industriali che una volta utilizzati faranno rimanere i milioni di euro investiti in impianti lì inutilizzati».

Code per vaccinarsi non ce ne saranno quindi.

«Non devono esserci code. Il tutto per ogni cittadino con prenotazione durerà un’ora, tra attesa della vaccinazione, somministrazione in sé e attesa ulteriore dopo la puntura».

Di impianti sportivi o spazi espositivi con riscaldamenti già presenti e dimensioni molto ampie ce ne sarebbero, avete escluso a prescindere la possibilità di utilizzarli?

«C’è una parte della campagna di cui non abbiamo parlato durante la presentazione che prevede anche questo. Se dovessimo trovare 100 o 200 spazi attrezzati saranno previsti moduli di utilizzo anche per questi casi. Su scuole o chiese di cui qualcuno ha parlato la questione mi sembra piuttosto evidente: non è una campagna di due mesi, bloccare le scuole per due inverni e un’estate è più che impensabile. Sul piano impiantistico, da presidente della Triennale di Milano, so quanto costa riscaldare uno spazio espositivo o comunque un grande luogo ogni giorno».

E quindi la primula in piazza.

«Sì, e non creda che sia un sacrificio alla funzionalità. Perché non scegliere di mantenere l’identità creativa quando in Giappone l’emergenza sulla ricostruzione è fatta dai migliori architetti e vengono fuori delle cose fantastiche? Siamo un Paese che ha nella bellezza le sue cifre distintive. Immagini di andare a vaccinarsi negli aeroporti militari: posti funzionali certo ma angoscianti, perché fare questa scelta quando con la stessa spesa si può fare di meglio»?

Noi faremo meglio?

«Molto meglio».

Foto di copertina: La Triennale di Milano/ Gianluca Di Ioia | Stefano Boeri

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