Il viceministro Sileri: «Rischiamo che solo il 30% degli italiani farà il vaccino: serve renderlo obbligatorio»
Che l’inizio delle vaccinazioni anti-Covid non rappresenti, almeno nel primo periodo, la fine dell’emergenza è ormai questione risaputa e acclarata, anche perché come ribadito dal viceministro alla Salute, Pierpaolo Sileri, «non potremo vaccinare 60 milioni di Italiani a gennaio e, malgrado la procedura accelerata, non avremo comunque la possibilità di vaccinare 30 milioni di italiani in un mese, questo vuol dire che dobbiamo continuare a convivere con il virus».
Se da un lato il viceministro Sileri si dice quasi certo «che la popolazione richiederà il vaccino volontariamente e non ci saranno problemi», sull’altro fronte sarà necessario far fronte allo scetticismo di molti, non solo tra le file dei no-vax, nei confronti dei vaccini. Già perché la campagna vaccinale, che stando alle ultime dichiarazioni del commissario per l’emergenza Domenico Arcuri dovrebbero iniziare a metà gennaio, prenderà il via avvolta da una nebbia di diffidenza.
Ma al di là dello scetticismo, «se dopo un anno, un anno mezzo, scopriamo che meno del 30 – 40% della popolazione ha fatto il vaccino, una qualche forma di obbligatorietà secondo me diventerà necessaria», preannuncia Sileri, anche perché «non posiamo permetterci il rischio di ritardi e non possiamo permetterci che il SARS-CoV-2 continui a circolare, dato che il virus potrebbe forse anche scomparire, ma potrebbe anche mutare rendendo inefficace il vaccino stesso».
«Se oggi – prosegue il viceministro – c’è qualche no-vax secondo cui il vaccino non serve dopo 60 -70 mila morti, e a mio avviso saranno ancora di più fino a quando si arriverà a una protezione di gregge, mi dispiace per lui». E anche chi dovesse aver avuto il Covid, come Sileri stesso, anche se dovesse aver sviluppato un’immunità temporanea, la cui durata è attualmente pressoché sconosciuta, dovrà sottoporsi periodicamente al monitoraggio degli anticorpi e, qualora questi dovessero raggiungere livelli bassi, «sottoporsi a una dose del vaccino per un richiamo».
Dubbi e incertezze sul vaccino che, a detta di Sileri, sono anche frutto del fatto che «se ne parla male». Secondo il viceministro è anche questione di formalismo delle parole usate per parlarne: «Se non vengono usate le parole giuste», come quando si dice che è stato sviluppato «in fretta», questo potrebbe far pensare che sia stato realizzato male e che non sia sicuro. Altra cosa sarebbe dire che è stato sviluppato «velocemente» anche al netto dell’emergenza globale in corso e, in tal caso, lo scetticismo potrebbe ridursi. Inoltre, la sicurezza del vaccino è data dalla «vigilanza che l’Aifa mette in atto, come per tutti i farmaci disponibili».
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