In Europa si vota sui diritti umani in Egitto. Parla Majorino, tra i promotori della risoluzione: «Basta con l’indignazione a giorni alterni»
Oggi pomeriggio il Parlamento europeo è chiamato a votare una proposta di risoluzione sui diritti umani in Egitto in cui si fa esplicito riferimento sia all’omicidio di Giulio Regeni, sia al caso di Patrick Zaki, lo studente dell’Università di Bologna e attivista Lgbt in carcere preventivo dal 9 febbraio con l’accusa di propaganda sovversiva e istigazione al terrorismo. Open ha intervistato l’eurodeputato Pierfrancesco Majorino, che è di fatto l’anima di questa risoluzione, appoggiata da differenti gruppi parlamentari: «Il governo italiano ascolti quello che dirà il parlamento europeo. Se davvero crediamo che quello che sta accadendo è drammatico, ciascuno deve essere coerente. Basta con l’indignazione a giorni alterni, o meglio: con l’indignazione a cui non seguono scelte chiare e nette».
È stato complicato mettere a punto una proposta di risoluzione comune tra gruppi politici diversi o, sul fronte dei diritti umani, ha registrato una sensibilità e un’unità d’intenti che hanno facilitato il percorso?
«Per un vero bilancio dobbiamo aspettare e vedere l’Aula come si esprimerà. Però io credo che davvero, da parte di tantissimi europarlamentari che hanno idee molto diverse su tante cose, ci sia la voglia di fare molto di più sui diritti umani in Egitto».
Se la risoluzione verrà approvata, quali effetti concreti potrà avere?
«Sarebbe un atto estremamente coraggioso per il parlamento europeo. Otterremmo, ne sono convinto, una serie di affermazioni assolutamente non scontate in un periodo di questo tipo».
Quali?
«Daremmo vita a una pressione internazionale che per la prima volta direbbe che la questione dei diritti umani in Egitto non è qualcosa che riguarda singoli casi individuali, ma un gigantesco fatto da trattare dal punto di vista politico. Secondo Human Rights Watch, dal colpo di Stato
militare del 2013 le autorità egiziane hanno inserito circa 3 mila persone negli elenchi terroristici, hanno condannato a morte 3 mila persone e ne hanno incarcerate 60 mila».
Non sarebbe però la prima volta che le istituzioni europee si pronunciano su questo tema. Tant’è che la stessa risoluzione condanna gli Stati membri che non hanno sospeso l’esportazione di armi verso l’Egitto…
«Già altre volte il parlamento europeo si era pronunciato, in linea di principio, sulla questione del non vendere armi a chi viola i diritti umani. Ma in questo caso si fanno nomi e cognomi. Non si tratta di un’affermazione generale, ma di un’affermazione che poi pretende coerenza nei comportamenti anche da parte dei singoli governi».
Compreso quello italiano?
«Non c’è dubbio. Mercoledì per esempio ho apprezzato le affermazioni del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che per mesi – credo sbagliando – praticamente non aveva preso la parola sul tema dell’omicidio di Giulio Regeni. Ieri invece ha detto cose giuste. Ma il tema non è passarsi il cerino della responsabilità, semmai è il contrario».
Si spieghi meglio.
«Bisogna fare tutti qualcosa, chiedendo a ciascuno di fare altrettanto. Quindi adesso mi aspetto che il governo italiano ascolti quello che dirà oggi il parlamento europeo. Lo dico quasi a prescindere da quella che sarà poi la risoluzione votata, perché singoli punti potranno anche cambiare. Però, se davvero crediamo che quello che sta accadendo è drammatico e che serva quindi un cambiamento radicale nei rapporti con l’Egitto, allora poi ciascuno deve essere coerente. Quindi quello che dico è: basta con l’indignazione a giorni alterni. O meglio: con l’indignazione a cui non seguono scelte chiare e nette».
L’invito vale anche per il governo francese?
«Vale per tutti i governi. Certo, la questione della Legion d’Onore ad al-Sisi ha mostrato la posizione controversa della Francia… Nella risoluzione noi diciamo una cosa molto chiara, ovvero che l’Ue e i suoi Stati membri non devono concedere riconoscimenti ai leader responsabili di violazioni dei diritti umani».
In Francia, in conferenza stampa con Macron, al-Sisi ha detto che trova «inopportuno» essere descritto come un tiranno. Lei come lo definirebbe, e come pensa che il parlamento europeo dovrebbe definirlo?
«Al di là delle definizioni, a me interessa il destino di 60 mila persone imprigionate per motivi politici, o il sistematico boicottaggio dell’inchiesta sull’omicidio Regeni. Se al-Sisi vuole rifarsi un’immagine internazionale, assicuri che gli esponenti dei suoi Servizi segreti, che la procura di Roma chiama a processo, siano processati in presenza a Roma».
Secondo lei quante probabilità ci sono che non si tenga un processo in contumacia?
«La percentuale di possibilità non la conosco, conosco il dramma che abbiamo tutti avuto sotto gli occhi e che per troppo tempo la comunità internazionale e le istituzioni italiane hanno fatto finta di non vedere, il dramma di Giulio Regeni. Credo che tutti debbano fare di tutto affinché il processo si celebri e nessuno si nasconda dal processo».
In questo momento in Egitto è detenuto anche Patrick Zaki, in carcere “preventivo” con l’accusa di propaganda sovversiva e istigazione al terrorismo. L’uso di questo tipo di accuse per silenziare il dissenso cosa nasconde?
«Mi pare il frutto malato di un regime paranoico. Quando si riempiono le carceri di ragazzi, di militanti del movimento Lgbt o di persone libere, si sta facendo una cosa terrificante. E l’Europa non può accettarla, perché è totalmente incompatibile con i nostri valori».
Ma dal punto di vista della realpolitik, quanto pesa la possibilità che al-Sisi ci ricatti come fa Erdogan sui migranti?
«Rispetto all’Egitto credo che questa questione abbia un peso minore. Piuttosto pesa molto l’intreccio dei rapporti economici e commerciali. L’Italia è storicamente amica del popolo egiziano e ci tengo a dirlo, nel senso che il sentimento di amicizia verso il popolo egiziano è la prima cosa che ci fa dire che deve finire questa spirale autoritaria. Nessuno deve farsi condizionare. Al di là di singoli episodi, il punto è che occorre essere inflessibili e smetterla di non vedere quel che accade».
Ritiene necessario e auspicabile il ritiro dell’ambasciatore italiano al Cairo?
«È una mossa che ho sempre condiviso. La ritengo giusta, alcuni mesi fa la ritenevo l’unica cosa da fare. Oggi credo che sia necessaria, purtroppo non sufficiente. Però la condivido, condivido le valutazioni dei genitori di Giulio Regeni e dell’avvocato Alessandra Ballerini».
Con la risoluzione che verrà votata oggi si propone anche di attivare in sede Onu un meccanismo di monitoraggio delle violazioni dei diritti umani in Egitto. Con quali tempistiche?
«I tempi devono essere ravvicinati. Per la definizione di simili strumenti devono passare mesi, non anni. Sui diritti umani il parlamento europeo deve pretendere, come fa spesso il presidente David Sassoli, grande intransigenza da parte di tutta comunità internazionale».
Ritiene che si debba riattivare un canale di dialogo anche con i Fratelli Musulmani, che sono tra i più colpiti dalla repressione in Egitto?
«Non credo questo, noi non dobbiamo giocare a sostenere una parte contro l’altra in questo momento. Il vento delle primavere arabe, all’inizio, è stato salutato come una cosa molto positiva, proprio perché aveva a che fare innanzitutto con ideali di libertà. E noi dobbiamo essere intransigenti su questo punto: il rispetto dei diritti umani e la difesa della libertà civili».
Ma sa, nel momento in cui in Egitto c’è un esercito che possiede uno Stato…
«La domanda non mi scandalizza. Ma resto convinto di quello che ho detto».
In copertina EPA/OLIVIER HOSLET | L’emiciclo durante una sessione plenaria del parlamento europeo a Bruxelles, 17 dicembre 2020.