Ponte Morandi, report falsificati da Autostrade e accuse più gravi: per la procura è crollo doloso
Per il crollo del ponte Morandi avvenuto il 14 agosto 2018, che ha provocato 43 morti, la Procura ipotizza anche il reato di «crollo di costruzioni o altri disastri dolosi». Le nuove accuse arrivano sulla base dello sviluppo delle indagini sulle barriere fono assorbenti: gli ex vertici di Aspi risparmiavano sulla manutenzione della rete per accrescere gli utili del gruppo Atlantia. Non solo, hanno falsificato i report per nascondere i mancati restyling. Ad aggravare la condotta, il fatto che fossero consapevoli del pericolo cui andavano incontro. Attentato alla sicurezza dei trasporti, falso, disastro colposo e omicidio colposo plurimo sono i capi d’accusa contestati dalla procura di Genova. Sono 71 gli indagati coinvolti.
I giudici del Riesame, Massimo Cusatti e Marina Orsini, hanno riconosciuto i gravi indizi di colpevolezza ai danni degli ex manager di Aspi Michele Donferri Mitelli e Paolo Berti arrestati a inizio novembre insieme all’ex Giovanni Castellucci. «Questa contestazione – spiegano dalla Procura – non significa che hanno volutamente fatto crollare il viadotto ma che hanno messo insieme una serie di comportamenti dolosi come la mancata manutenzione o la realizzazione di falsi verbali, tali da portare al crollo dello stesso». E il reato doloso, rispetto a quello colposo, ha pene molto più severe. «Si rischia un massimo di dodici anni contro i cinque del reato colposo», riporta La Stampa.
Tra i reati contestati già la scorsa settimana c’è anche quello di falso che va ad aggiungersi alle motivazioni avanzate dalla Procura per spiegare perché le intercettazioni telefoniche effettuate proprio nell’indagine per il viadotto crollato siano rilevanti anche per le barriere. Gli ex vertici di Autostrade secondo l’accusa avevano messo in atto falsi rapporti per nascondere «l’assenza di reali ispezioni» e per «nascondere la sottovalutazione dei reali vizi accertabili».
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