Il primo racconto dei pescatori liberati in Libia: «Tante umiliazioni in cella, spesso al buio, rinchiusi senza un processo»
I pescatori di Mazara del Vallo, trattenuti per 108 giorni in Libia, e ieri finalmente liberati, hanno cominciato a raccontare la loro prigionia. «Abbiamo cambiato quattro carceri in condizioni sempre più difficili. L’ultimo dove siamo stati era al buio, ci portavano il cibo con i contenitori di metallo. È stato davvero molto complicato: accendevano e spegnevano le luci, a loro piacimento» ha detto Pietro Marrone, capitano della Medinea, parlando via radio col suo armatore Marco Marrone. I pescherecci sono partiti questa notte dal porto di Bengasi e arriveranno a Mazara del Vallo non prima di 48 ore.
Cosa è successo
La loro ultima notte l’hanno trascorsa «in una cella buia dove il cibo veniva portato in ciotole». Lì hanno «subito umiliazioni, pressioni psicologiche, ma mai violenze». Tunisini e italiani sono rimasti divisi per più di due mesi: «In celle buie, senza processo, e con indosso sempre gli stessi abiti. Ci siamo rivisti dopo 70 giorni, ed è stato bellissimo. Ma ci siamo spaventati. Quando ci hanno detto che sarebbe arrivato il presidente Conte, ci hanno dato del cibo migliore, ma quello vero lo abbiamo mangiato ieri sulle nostre barche. Siamo felici, stiamo tutti bene».
Ieri, stando sempre al racconto dell’uomo, sono andati a prenderli dicendo loro di «prepararsi che dobbiamo andare via»: «Era già successo circa un mese fa, quindi nessuno di noi ormai ci credeva. Dopo l’annuncio che saremmo stati liberati ci siamo preparati: abbiamo fatto la barba, ci siamo fatti prestare qualche bottiglia di shampoo, ci siamo lavati, ci hanno portato qualche tuta. Poi a bordo di un pullman ci hanno portato dalle nostre varcuzze (i pescherecci, ndr). Stanotte finalmente, dopo avere ricaricato le batterie, abbiamo acceso i motori e siamo partiti. Adesso non vediamo l’ora di tornare a casa».
Foto in copertina da ANSA
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