L’epidemia ha aumentato il divario di genere nel mondo della ricerca? Uno studio dice di sì
Verso l’inizio della pandemia aveva suscitato grande scalpore la notizia che a isolare il ceppo di Coronavirus fosse stata una squadra del Sacco di Milano che al suo interno contava due ricercatrici precarie. Un episodio che sarebbe dovuto servire come stimolo per affrontare non soltanto il problema della precarietà lavorativa, soprattutto tra i giovani, ma anche dell’uguaglianza di genere sul lavoro. Eppure da allora il divario di genere non sembra essersi attenuato, anzi.
A maggio il quotidiano inglese The Guardian segnalava che il numero di articoli scientifici pubblicati da donne era diminuito nel periodo del lockdown, mentre la produzione maschile aumentava. A un appello su Twitter da parte di Elizabeth Hannon, vicedirettrice del British Journal for the Philosophy of Science, in cui faceva presente questa disparità, erano seguite testimonianze da parte di accademiche che lamentavano le difficoltà a cui andavano incontro nel tentativo di conciliare l’attività scientifica con il lavoro domestico non retribuito durante il lockdown. Come dimostra una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Astronomy, anche in Italia ci sono dei campanelli di allarme in tal senso.
Il calo della produzione scientifica nei primi 6 mesi del 2020
La ricerca, frutto di un lavoro di tre donne – Laura Inno, ricercatrice presso l’Università Parthenope di Napoli, Alessandra Rotundi, professore ordinario alla stessa università, e Arianna Piccialli, ricercatrice presso il Royal Belgian Institute for Space Aeronomy di Bruxelles – indica che nell’ambito della comunità astronomica italiana durante i primi sei mesi del 2020 la produzione scientifica è diminuita, al netto di un aumento – fino al 10% – dei contributi dei ricercatori maschi. Il motivo? È calata la produzione delle scienziate donne, in totale di circa 5 punti percentuali.
«Una differenza così significativa nella produttività tra ricercatori uomini e donne durante il blocco può essere spiegata solo come un riflesso della distribuzione sbilanciata del carico di lavoro non retribuito a casa tra i partner», concludono le scienziate nell’articolo. Il calo si fa sentire ancora di più visto che, come notano le studiose, la comunità astronomica italiana contiene una percentuale elevata di ricercatrici donne rispetto alla media europea, pari a circa il 30%. Questo però non ha impedito che, come ipotizzano le studiose, sulle ricercatrici sia ricaduto l’onere di occuparsi della famiglia e della casa durante il lockdown, a partire dall’assistenza dei figli nel percorso scolastico, reso ancora più gravoso dalla didattica a distanza.
Sono diversi gli studi che puntano in questa direzione, come la ricerca condotta dal centro Genders dell’Università di Milano, che conclude come «le attività domestiche, in particolare quelle relative alla cura dei figli, rimangono prevalentemente a carico delle donne anche in tempi eccezionali, indipendentemente dalle loro risorse». Un fatto che non può che avere ripercussioni sul lavoro. Svantaggi che si sommano a tragedie come l’aumento registrato nei femminicidi durante il lockdown e che restituiscono un quadro preoccupante dell’esperienza femminile della pandemia.
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