«Tampone negativo? Mai richiesto. Quarantena? Nessuno verificava». I rientri senza controlli dal Regno Unito all’Italia
Si preannunciava un ritorno a casa complicato ma non impossibile. Fino al 9 dicembre per chi partiva per l’Italia dal Regno Unito era addirittura possibile fare un tampone direttamente in aeroporto una volta arrivati. Nel Regno Unito il governo di Boris Johnson aveva deciso di «salvare il Natale», allentando le restrizioni dal 3 dicembre dopo un semi-lockdown lungo un mese, e anche se l’Italia si avviava verso un suo lockdown natalizio, per quanto complicate, le regole permettevano comunque di tornare a casa. Poi il governo britannico ha scoperto una nuova variante del Coronavirus, che potrebbe spiegare la recente impennata di casi, innescando una reazione a catena di chiusure che ha contagiato anche l’Italia, e ha introdotto il blocco di voli dal 20 dicembre fino al 6 gennaio.
Nel frattempo però – da inizio dicembre fino a ieri domenica 20 dicembre – sono continuati i ritorni in Italia senza grandi problemi (come si evince anche dai nuovi casi di positività al Coronavirus riscontrati in Italia). Se la negatività al tampone era fra i requisiti, diverse testimonianze raccontano che l’obbligatorietà è rimasta ferma nel regno delle enunciazioni senza atterrare mai in quello dei fatti. Un passaggio reso ancora più difficile dal fatto che dal 9 dicembre in poi gli aeroporti italiani hanno smesso di fare i tamponi a chi arrivava.
«All’atterraggio a Fiumicino nessuno ha verificato l’esito del tampone», raccontano due passeggeri su un volo Alitalia atterrato a Roma Fiumicino da Londra Heathrow il 14 dicembre (a bordo del quale viaggiava anche l’ex premier italiano, nonché mina vagante dell’opposizione al governo, Matteo Renzi). «Ho dovuto sventolare il foglio e insistere per farlo ispezionare della polizia – continua Roberta Berardi, insegnante in una scuola privata in Inghilterra -. Hanno ritirato l’autocertificazione e controllato i passaporti, ma il tampone niente».
Vada avanti
La risposta alla domanda se sul volo c’era anche chi non era dotato di tampone è quasi scontata. «Dietro di noi c’era anche una signora che si vantava di non averlo fatto. “Chi ve l’ha fatto fare a pagarlo tutti quei soldi?”, diceva. “Io mi sono messa d’accordo con mio marito che lo avrei fatto appena rientrata in Italia”». Effettivamente è costato parecchio farlo privatamente a Londra prima di partire, il modo più sicuro per effettuare il tampone entro le 48 ore prima della partenza, come era richiesto. Non che anche all’imbarco a Londra se ne siano curati più di tanto. Bastava un’autocertificazione (la prima di due) e poi si andava sulla fiducia.
Arrivati a Roma, la calca. Scesi dall’aereo e diretti sullo shuttle verso il terminal – raccontano – ecco che arriva un gruppo massiccio di passeggeri da un volo arrivato dalla Malesia totalmente sprovvisti di autocertificazione. I due gruppi si mischiano fin quando – tra incomprensioni varie e problemi di comunicazione – si forma a fatica una fila per compilare o consegnare l’autocertificazione. Nessun controllo sui tamponi, ognuno per la sua strada. Ma non si tratta di un problema prettamente romano. Una conferma arriva da un’altra italiana, Federica Formato, docente all’Università di Brighton, rientrata a Benevento dopo essere volata dal Regno Unito a Napoli il 10 dicembre, il primo giorno in cui gli aeroporti hanno smesso di fare i tamponi.
«Quando siamo arrivati verso le 11 di mattina – racconta – stavano ancora cercando di capire come fare. Al controllo passaporti ci hanno chiesto di compilare o di consegnare l’autocertificazione. Alla partenza non ci hanno chiesto niente. Tra l’altro mi ero rivolta direttamente a Easyjet per chiedere se controllavano i tamponi e mi hanno detto che non sono autorizzati a farlo». Chi non aveva fatto il tampone poteva comunque passare? «Chi aveva già fatto il tampone poteva andare a casa tranquillamente e a chi non l’aveva fatto consigliava di fare la quarantena per 14 giorni. In teoria era obbligatorio farlo, ma non hanno controllato se tutti avevano il tampone negativo».
Ats rispondi?
Non finisce qui. Una nuova ordinanza firmata dal ministro della Salute Roberto Speranza dopo il blocco dei voli impone a chi sia giunto anche nelle scorse due settimane di sottoporsi al tampone molecolare una volta rientrato in Italia. Così anche la signora che si era messo d’accordo con il marito per farlo in Italia dovrà comunicarlo all’Ats, sempre che riesca farlo. I due passeggeri volati a Roma, che hanno effettuato un altro tampone una volta arrivati a destinazione, hanno detto di non aver ricevuto alcuna sollecitazione da parte dell’Ats. Nel caso di Roberta B., non ha dovuto, né potuto, fornire i contatti del medico curante visto che è residente all’estero ed è iscritta all’Aire.
Nel caso della ricercatrice di Brighton invece l’Ats non solo non si è ancora fatta viva, ma non si fa neppure trovare. «Sto avendo difficoltà a contattare l’Asl di Benevento – racconta -. A una mia collega in Emilia-Romagna, tornata qualche giorno fa, è arrivata un’email generica dall’indirizzo a cui aveva scritto quattro volte in cui viene detto che presto riceverà un sms con data e luogo per un tampone. Vedremo. Comunque io avevo fatto tre tamponi negativi, non credo di aver portato la variante».
Nonostante il tampone fatto nel Regno Unito, Federica pratica una forma di auto-isolamento volontario in attesa di riuscire ad entrare in contatto con l’Asl per un nuovo tampone. Sempre che non riesca a tornare prima nel Regno Unito. «Il ministro Di Maio ieri ha scritto i voli “con” la Gran Bretagna, quindi non si capisce se il blocco è anche “per” o soltanto “da” il Regno Unito – continua -. Sui siti si possono ancora comprare i voli per la Gran Bretagna. Ad ogni modo, io ho preso un volo per il 18 gennaio».
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