L’operatrice sanitaria Adele Gelfo sarà tra i primi a ricevere il vaccino: «Dopo l’iniezione nessuna pausa: farò il turno di notte» – L’intervista
Sarà simbolico, certo. I vaccini distribuiti domani in Italia e nel resto di Europa non segneranno un cambiamento evidente nella curva dei contagi da Coronavirus. Eppure segneranno l’inizio di una fase in cui il protagonista delle cronache non sarà più solo virus ma anche il suo vaccino, tutto il suo processo di distribuzione, gli effetti, le cose che funzioneranno e quelle che invece dovranno essere corrette. Proprio per questo il Governo ha deciso di dare ancora più valore a questo V-Day, scegliendo di distribuire le prime dosi ai rappresentanti di quei “camici bianchi” per cui lo scorso novembre è stata istituita anche una Giornata Nazionale (sarà il 20 febbraio).
Oltre ai medici e agli infermieri, tra i primi a ricevere il vaccino ci saranno anche gli operatori sanitari. Figure professionali che si occupano dell’assistenza e dell’igiene dei pazienti e che durante tutta la pandemia hanno continuato a lavorare. A Milano una delle prime rappresentanti di questa categoria che verrà vaccinata il 27 dicembre sarà Adele Gelfo, 29 anni di servizio all’ospedale Niguarda.
Quando ha deciso di lavorare come operatrice sanitaria?
«Ho iniziato nel 1991, all’ospedale Niguarda. La stessa struttura in cui lavoro adesso. Ai tempi venivamo identificati come aiutanti. Da piccola giocavo sempre con le penne, facendo finta che fossero termometri. Ho iniziato a lavorare come Os quando avevo 21 anni. Avevo pensato anche di fare la scuola infermieristica ma lavorando già in ospedale era difficile conciliare le due cose».
È stata una sorpresa la telefonata con cui le hanno proposto di fare per prima il vaccino?
«Certo. Per un attimo ho pensato “Ma sta succedendo a me?”. Mi sembrava talmente strano. Sono felicissima di aver avuto questa opportunità».
Sa già come avverà la vaccinazione?
«Come tutte le vaccinazioni potrebbe dare un po’ di febbre come non avere nessuno effetto. Se mi sento bene andrò a lavorare la sera, visto che ho il turno di notte. Non è niente di diverso da tanti altri vaccini».
Durante la prima ondata Milano è stata al centro di uno dei territori più colpiti, quello lombardo. Come è stato il suo lavoro in quei mesi?
«Quando è arrivata la prima ondata nessuno di noi sapeva bene come fare. L’unica cosa positiva era che avevamo tutti i nostri dispositivi di protezione. È stato difficile. Ti trovi davanti a un virus aggressivo e c’è sempre la paura di infettarsi. Alla fine però è il tuo lavoro è ogni giorno sai che i pazienti nel letto hanno bisogno proprio di te. Metti da parte la paura e cominci il turno».
Nell’ultimo anno si è parlato molto di chi lavora nella sanità, delle loro responsabilità, delle loro fatiche e delle loro condizioni. Come ha cambiato lei il modo di vedere il suo lavoro?
«La mia visione di quello che faccio è rimasta la stessa. Il mio lavoro è sempre stato fondamentale. Ci occupiamo della sanificazione degli strumenti e dei letti, senza contare l’igiene dei pazienti. Mi auguro che la gente abbia capito che il nostro lavoro non lo prendiamo sotto gamba. Anzi».
Ormai conosciamo bene la paura e del dolore vissuti dai pazienti ammalati di Covid che vengono ricoverati in ospedale. C’è però un momento bello che ricorda del lavoro in questa epidemia?
«Mi ricordo dei pazienti che escono dall’ospedale. Quando riescono a superare questa malattia, quando ti ringraziano e ti salutano con un sorriso capisci che per loro questa partite difficile si è finalmente conclusa».
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