AstraZeneca, perché l’Ema non ha approvato il vaccino di Oxford: dai dubbi sul dosaggio ai dati incerti su efficacia e durata della copertura
Sicuro ed efficace. Per essere approvato, un vaccino deve soddisfare questi due prerequisiti. Sul primo punto non ci sono dubbi: quello di Oxford e di AstraZeneca non è assolutamente pericoloso. Per quanto riguarda l’efficacia, invece, le varie agenzie per il farmaco si sono divise: se per la Medicine and Healthcare Regulatory Agency di Londra la percentuale di copertura (stimata al 62%) è sufficiente per renderlo utile contro l’infezione da Coronavirus, per l’Ema (l’Agenzia europea per il farmaco) le cose sono più complicate.
Al momento sono solo due i Paesi nel mondo che hanno dato l’ok al vaccino di AstraZeneca: il Regno Unito, appunto, e l’Argentina. La prima a rompere il ghiaccio sul vaccino di Oxford è stata proprio l’Mhra, che ieri mattina, 30 dicembre, ha dato il suo via libera in anticipo rispetto all’Ema, come già successo per il siero di Pfizer/BioNTech. Secondo l’ente europeo, attorno al vaccino dell’Università inglese – prodotto in collaborazione con l’Irbm di Pomezia – ci sono degli aspetti ancora da chiarire. D’altronde, la stessa agenzia per il farmaco del Regno Unito ha dato una cosiddetta «autorizzazione temporanea», attraverso la quale si riserva di revocare l’ok in ogni momento qualora dovessero arrivare dei nuovi dati poco convincenti.
Il dosaggio
La questione principale è legata alla percentuale di efficacia rispetto ai dosaggi. Durante i mesi di sperimentazione, i ricercatori somministrarono per errore solo mezza dose a 2.000 volontari: lo sbaglio rivelò che, dimezzando il dosaggio, la copertura dall’infezione saliva dal 62% fino al 90%. Secondo l’Ema, AstraZeneca avrebbe dovuto ripetere lo studio su tutte le 40 mila persone coinvolte nella ricerca prima che questa potesse essere approvata. Per il Regno Unito, invece, la certezza sulla sicurezza del prodotto e la speranza di raggiungere comunque buona parte della popolazione è bastata per dare l’ok.
Attualmente, sia Ema che Mhra concordano sul fatto che non ci sono dati sufficienti per approvare la somministrazione solo di metà dose. Ma per gli inglesi ciò non toglie che il vaccino di AstraZeneca può rivelarsi comunque – anche, cioè, somministrato a dose piena come da protocollo – un importante e sicuro alleato per sviluppare l’immunità in una percentuale non trascurabile di cittadini.
E questo anche perché, estendendo al massimo la durata tra la prima somministrazione e l’altra, si riuscirebbe a coprire più persone e, parrebbe, anche in maniera più efficace. Proprio ieri i rappresentanti dell’Mhra hanno dichiarato che, se le due somministrazioni si distanziano di 3 mesi, l’efficacia della copertura sale fino all’80% (al 70%, invece, se si attendono 21 giorni). Sono dati ancora da verificare puntualmente, ma nel frattempo l’agenzia per il farmaco inglese ha optato per questa strategia.
La durata della protezione
La seconda incognita riguarda la durata della protezione. Su questo la stessa l’agenzia britannica è stata chiara: «Non sappiamo ancora quanto durerà l’immunità dalla Covid-19». Alla luce delle varie differenze di vedute, viene da chiedersi quale delle due strategie sia la più corretta: se quella dell’Ema, che preferisce attendere dati più chiari sull’efficacia prima di partire, o se quella dell’Mhra, che punta a sfruttare il più possibile le potenzialità del vaccino in un momento particolarmente duro per la sanità (ieri ci sono stati 50.023 nuovi contagi e quasi mille morti nel Regno Unito). Secondo Walter Ricciardi, ex presidente dell’Istituto superiore di sanità e consulente del ministro della Salute, nel Regno Unito «sono certamente più pragmatici, ma non si dovrebbero sottovalutare le pressioni politiche in un Paese alle prese con una impennata dei contagi».
Immagine di copertina: EPA/OXFORD UNIVERSITY / JOHN CAIRNS /
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