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Dallo spillover alla corsa ai vaccini, un anno di guerra globale contro il nuovo Coronavirus

31 Dicembre 2020 - 16:22 Juanne Pili
Le tappe fondamentali di una pandemia che ha sconvolto il mondo tra bugie, conquiste, studi verificati e speranze per il futuro

Era il 30 dicembre 2019. Un medico oftalmologo di Wuhan riferiva in una chat di colleghi specializzandi di una strana sindrome respiratoria. Aveva colpito sette pazienti provenienti dal mercato ittico locale. «E se fosse tornata la Sars?». L’interessante discussione non avrà seguito, perché intercettata dalle autorità cinesi. I poliziotti gli avrebbero intimato dopo un interrogatorio di firmare un documento, dove dichiara che si è sbagliato. Il suo sarebbe stato mero allarmismo sanitario, quindi costituiva un comportamento illegale. Parte un’inchiesta con otto persone sotto indagine.

Quel medico si chiamava Li Wenliang. Tornato al lavoro si infettò anche lui e la sua foto sul letto d’ospedale pubblicata il 31 gennaio 2020 farà il giro del mondo. Morirà quasi una settimana dopo, il 6 febbraio, di quella «polmonite» causata da un nuovo Coronavirus. Nel mentre verrà registrato sui database internazionali come 2019-nCov.  

La malattia ormai dilaga a Wuhan nella provincia di Hubei. Viene classificata dall’OMS come Covid-19, mentre la parentela col virus della Sars (SARS-CoV-1) porta a definire il nuovo patogeno SARS-CoV-2. Non può più essere nascosta l’emergenza sanitaria, ma forse Pechino spera ancora di risolvere tutto da sé, minimizzando l’entità del pericolo.

Se questo tentativo c’è stato, si rivelerà presto ingenuo. I conti non tornano. Il 28 gennaio risultavano ancora 106 morti, con un totale di 4514 casi. Anche se sono circa il doppio rispetto al giorno prima, sembrano comunque troppo pochi. Secondo il Centre for Global Infectious Disease Analysis dell’Imperial College di Londra, dovrebbe portare ogni singolo infetto a contagiarne altri tre. Già il 17 gennaio gli scienziati inglesi avanzavano forti dubbi sull’attendibilità del conteggio dei casi filtrato da Pechino.

In Italia uno dei primi a porre dubbi è il virologo Roberto Burioni. Citando il collega di Hong Kong Gabriel Lung, ipotizza si fossero superati – nella sola Wuhan – i 44 mila casi già il 25 gennaio. Si comincia a temere che questo virus possa diventare presto pandemico. 

Comincia così quello che potrebbe essere ricordato come l’anno più travagliato di questo, seppur ancora giovane, ventunesimo Secolo. Siamo partiti dalla caccia a pazienti zero e superdiffusori, criticando chi sembrava fare allarmismo sui pericoli del nuovo patogeno. Poi sono arrivati i vari lockdown in giro per il Mondo. Così finiamo per criticare chi cerca di minimizzare. Qualcuno parla di un «virus indebolito», o di una malattia giudicata con miopia da alcuni, come poco più di una «semplice influenza».

Quel che segue è una antologia di quanto abbiamo appreso attraverso questo 2020. Non abbiamo pretese di esaustività, quanto la speranza di non doverne scrivere altre nei prossimi anni.

EPA/SHI ZHI CHINA OUT | I funerali del medico cinese Li Wenliang.

Spillover e zoonosi

Per molti virus che colpiscono esclusivamente gli esseri umani non è possibile risalire a quale animale li abbia trasmessi la prima volta. Sappiamo però che è successo. La zoonosi è il fenomeno che ha portato il SARS-CoV-2 a «saltare». Dai suoi ospiti «serbatoio» (alcune specie di pipistrelli presenti anche nella regione di Hubei) è passato all’uomo. Esisterebbe anche un ospite intermedio – che si ipotizza essere il pangolino – detto ospite «amplificatore». Questo fenomeno evolutivo viene definito spillover. Non è detto che la trasmissione debba per forza esserci tra persone, e potrebbe avere come situazione preferenziale il contatto con altri animali.

Il professor Wang Yuedan, immunologo dell’Università di Pechino è uno dei primi a segnalare che la trasmissione del virus avviene anche tra esseri umani. Esistono già dei Coronavirus che ci trasmettiamo comunemente, responsabili di raffreddori e di sindromi simili a quelle influenzali. Altri sono stati più pericolosi, come quelli della Sars e della Mers.

Dall’analisi del genoma si scoprono legami di parentela non solo coi Coronavirus dei pipistrelli, ma anche con quelli del pangolino. Qualcuno avanza l’ipotesi dei serpenti come ospite intermedio. Tuttavia è abbastanza improbabile. Un virus adattato ai mammiferi difficilmente farebbe lo spillover nei rettili o viceversa, così presto tale ipotesi viene respinta. Anche sul pangolino al momento non vi sono certezze. Non di meno, è probabile che abbia giocato un ruolo il traffico di animali destinati ai mercati umidi in Cina, non solo a scopo gastronomico, ma anche nell’ambito della Medicina tradizionale cinese. In generale questa pandemia ci ricorda gli effetti dell’impatto umano sulla Natura, forse più di quanto non abbiano fatto i cambiamenti climatici.

Esempi precedenti di zoonosi con spillover nell’uomo, possono essere il virus Hendra (HeV) in Australia, che vede i cavalli come ospiti intermedi; Ebola (EVD) in Africa. Per restare nel campo dei Coronavirus, si ricordano il già citato virus della Sars e quello della Mers (MERS-CoV), che vede come ospiti intermedi i cammelli. L’ultima pandemia globale degna di nota avvenne cento anni fa, ci riferiamo alla influenza spagnola, causata dal virus H1N1, il cui spillover sarebbe avvenuto in alcune specie di uccelli.

Avremmo potuto interessarci maggiormente del fenomeno. I precedenti non mancano. I Cambiamenti climatici avevano già mostrato lo scarso interesse dell’opinione pubblica ai problemi globali, in particolare quelli che minacciano la nostra esistenza.

Dushy Ranetunge | Esemplare di Pangolino.

Shi Zhengli e il laboratorio di Wuhan: ipotesi di complotto

Definita con lo pseudonimo forse un po’ cringe di Bat Woman, Shi Zhengli è una delle poche esperte in materia, che dopo la scomparsa dell’epidemia di Sars (2002-2004), hanno continuato a studiare i BetaCoronavirus dei pipistrelli, in giro per le grotte di Hubei e nell’ormai noto laboratorio di Wuhan.

I «ringraziamenti» per il suo impegno non sono tardati ad arrivare. Il National Biosafety Laboratory di Wuhan fa parte di una rete internazionale. Lì si studiano i patogeni e si cerca di prevenire eventuali spillover, per i quali gli avvertimenti non sono mancati in passato, per quanto inascoltati. Fatto sta che dello stesso laboratorio faceva menzione David Cyranoski, su Nature nel 2017. Nel suo articolo emergono dubbi sulla sua sicurezza.

Ecco che il testo diventa una delle principali fonti dei complottisti. Si parla presto di «guerra batteriologica» e «virus fuggito da un laboratorio». Sarebbe colpa degli scienziati cinesi, oppure di un complesso piano ordito dai militari americani. Avrebbero importato il morbo a Wuhan, in occasione di un precedente evento sportivo tenutosi nel novembre 2019, che coinvolgeva i militari di tutto il Mondo. I poteri forti, unici a sapere la «verità», avrebbero così potuto lucrare sulla vendita di un vaccino, scaricando ogni responsabilità alla Cina. Sarà vero?

Nella seconda parte del 2020 dalle illazioni sulla stampa si arriva alla produzione di presunti studi. Si tenta di dimostrare l’esistenza di evidenze di una ingegnerizzazione nel genoma del virus, uno di questi è lo Yan Report. Altri più blandamente si limitano a sostenere che non si può escludere del tutto la fuga da un laboratorio. Ma l’argomento «dimostrami che non è vero» è poco scientifico: lo si può dire di qualsiasi cosa, anche dei draghi invisibili. D’altro canto esiste ormai una mole di dati che attesta l’origine naturale del SARS-CoV-2. Conosciamo il pericolo delle zoonosi, e l’analisi genomica comparata.

World Society for Virology | La virologa cinese Shi Zhengli.

Il virus potrebbe essere fuggito da un laboratorio?

Esistono in verità due Yan Report, che prendono nome dalla virologa Li-Meng Yan. L’autrice è collegata con l’ex spin doctor di Donald Trump, Steve Bannon. L’esperto di genomica comparata Marco Gerdol ne ha esaminato approfonditamente i contenuti. Parte dalle tesi attorno al genoma del BetaCoronavirus RaTG13, per poi analizzare le tesi riguardanti altri due genomi studiati nei laboratori militari americani (ZXC21 e ZC45). Yan ci vede i ceppi che avrebbero agevolato la fabbricazione del nuovo Coronavirus.

Chi sostiene che RaTG13 possa essere uno dei possibili virus da cui è partita l’ingegnerizzazione del virus, tende a trascurare alcuni particolari importanti. È stato ritenuto il BetaCoronavirus con un antenato comune più vicino a quello della Covid-19. Trovato praticamente per caso – in condizioni non proprio ottimali – da un campione raccolto in una grotta, dopo l’emergere della pandemia.

Le informazioni che ci ha dato risultano preziose per comprenderne la genealogia, assieme a un altro – che i complottisti non menzionano mai: RmYN02, la cui scoperta è ancor più recente. Inoltre è risultato ulteriormente vicino nell’evoluzione del virus. Si conoscono poi diversi altri membri della famiglia dei BetaCoronavirus, compresi ZXC21 e ZC45. Nel momento in cui scriviamo potrebbero venire scoperti altri fratelli o cugini evolutivi di SARS-CoV-2.

Il genetista Marco Gerdol smonta lo Yan Report.

Tutti i genomi sono stati depositati in appositi database internazionali. Il loro studio ci ha permesso di ottenere importanti informazioni. La ricerca più importante è quella di Nature Medicine del 17 marzo 2020. Abbiamo visto che ogni anno mediamente avvengono 25 mutazioni puntiformi sui circa 30 mila tasselli che costituiscono il genoma virale; questo ci permette di datare quando sono apparsi i vari membri di questa famiglia, che Chyranoski ha definito «assassini dinamici» in un celebre articolo.

I Coronavirus studiati nei laboratori militari di cui tratta il Yan Report, risultano avere un antenato comune con SARS-CoV-2 e RaTG13. Si collocano rispetto a questi temporalmente piuttosto indietro nel tempo. Negli studi scientifici si devono tassativamente riportare i dati sul deposito dei genomi, nei database internazionali. Quindi, dobbiamo supporre che siano stati fabbricati segretamente diversi Coronavirus. Oppure, dobbiamo dedurre che esista una tecnologia a noi ignota, in grado di simulare le mutazioni puntiformi generate ogni anno nell’evoluzione dei BetaCoronavirus. Tutto in modo da sfuggire alla vista dei genetisti.

Non fa eccezione nemmeno il virus chimera studiato nello stesso laboratorio di Wuhan. Ne fece menzione il TG Leonardo cinque anni prima. Ripreso poi strumentalmente dai complottisti, come prova della tesi del virus sfuggito per errore dalle mani degli «scienziati cattivi». Facciamo presente che nemmeno la forbice molecolare CRISPR-Cas9 potrebbe permettere cose del genere. Riportiamo la risposta che ci diede l’esperto di genomica comparata Gerdol, quando gli chiedemmo in che modo si potrebbe attuare una simile farsa:

«Al di là del numero di persone coinvolte, si tratterebbe di mettere in atto tutta una serie di meccanismi perversi, per cui per mascherare il malfatto devi andare a spargere dei falsi indizi complicatissimi, andando a generare false sequenze genomiche di altri virus naturali che in realtà non esistono, e fare la stessa cosa con virus inesistenti trovati sui pangolini. Molto probabilmente nei prossimi mesi verranno isolati nuovi virus di questa famiglia, magari anche più vicini a SARS-CoV2 di RaTG13. Sappiamo benissimo infatti che i pipistrelli sono serbatoi naturali in cui probabilmente esistono centinaia di specie appartenenti al gruppo dei SarBeCoVirus – di questa stessa famiglia – che noi ancora non abbiamo visto, perché nessuno si è degnato di fare un campionamento serio prima di questa circostanza».

La disinformazione sul virus ingegnerizzato passa anche attraverso l’uso improprio di servizi giornalistici seri, come quelli del TG Leonardo.

Una famiglia di assassini dinamici

È un peccato che certe narrazioni distraggono dai veri enigmi e dalle sfide che ci pone lo studio dei Coronavirus. Quanto scoperto fino a oggi è affascinante e terribile allo stesso tempo. Ci ricorda che – per quanto non piaccia pensarlo – siamo ancora in balia della Natura. In questo senso credere al complotto diventa uno stratagemma consolatorio, che ci assolve dalle nostre responsabilità.

Zoonosi dei virus e cambiamenti climatici, sono pericoli contro i quali siamo stati avvisati più volte in passato. Eppure non è stata ottenuta sufficiente attenzione da parte dell’opinione pubblica. Esistevano già progetti come Bat One Health, o quelli sostenuti dalla fondazione Bill & Melina Gates. Tutti puntualmente ripescati dai cospirazionisti e dipinti come parte del complotto.

La verità è che questa famiglia di assassini dinamici esiste da parecchio tempo. I primi indizi raccolti risalgono al 1912. Prima di rendercene pienamente conto dovremo aspettare però gli anni ’60, quando vengono isolati due virus. Apparivano con una corona di proteine attorno al loro capside, da cui deriva il nome. Diversi studi suggeriscono che i primi Coronavirus siano comparsi 300 milioni di anni fa. Il primo antenato comune con quelli presenti nei pangolini emerse 140 milioni di anni fa.

Il percorso che porterà una parte di questi a evolversi fino allo spillover del SARS-CoV-2, sarebbe cominciato tra 40 e 70 anni fa. Il salto verso gli esseri umani è ancora difficile da collocare temporalmente. Studi recenti – la cui attendibilità è ancora discussa – collocano il virus in Italia prima del focolaio di Wuhan. La finestra temporale nel Mondo potrebbe aggirarsi tra l’ottobre e il novembre 2019.

Bill Gates è uno dei pochi filantropi ad aver cercato di avvisarci contro il pericolo delle zoonosi. Da prima inascoltato, anche lui diventa un untore, secondo le narrazioni complottiste.

Una sindrome simil-influenzale?

Fino alla comparsa dell’epidemia di Sars i Coronavirus non ci spaventavano più di tanto, visto che erano pericolosi soprattutto negli altri animali. Nella corona di SARS-CoV-2 troviamo le glicoproteine Spike (S), ovvero gli antigeni del virus. Sono strumenti presenti nella corona del virus, che prendono di mira i recettori ACE2 delle cellule polmonari, che potremmo definire semplificando le porte d’accesso utilizzate dal virus per penetrarle.

Il primo modello 3D dell’antigene Spike (S) è stato prodotto a febbraio dai ricercatori americani dell’Università di Austin, Texas; dell’Istituto l’Istituto americano per la ricerca sulle malattie infettive (Niaid); e del National Institutes of Health (Nih). Legittime preoccupazioni sulla possibilità che eventuali mutazioni di Spike (S) rendessero inutile cercare un vaccino, sono state poi vanificate dagli stessi studi genomici. Certamente virus a RNA come i Coronavirus, tendono ad avere maggiori mutazioni, tuttavia quelle che interessano l’antigene sono ben più rare. Inoltre non è da escludere che l’evoluzione possa premiare ceppi meno distruttivi, in modo da avere più occasioni per trasmettersi. Non di meno al momento non è dimostrato che il virus si sia indebolito.

Attualmente è stata individuata la mutazione dominante «D614G». La buona notizia è che non sembra nemmeno che il virus sia diventato più forte di prima. Le più recenti varianti sono state registrate in Sudafrica, repubblica Ceca e infine nel Regno Unito. Quest’ultima definita precipitosamente «variante inglese», ha suscitato preoccupazioni riguardo la possibilità che possa essere più contagiosa del 70%. Tuttavia non sembrano esserci sufficienti evidenze in merito.

Science | Il modello 3D della glicoproteina Spike (S).

Nella Sars un paziente era tanto infettivo quanto gravi si presentavano i sintomi. La Covid-19 ha dimostrato di essere invece molto più trasmissibile, a prescindere dai sintomi. Dalla Cina risultavano forme gravi e mortali soprattutto nei soggetti anziani, inoltre cominciavamo ad avere evidenze di una certa quota di asintomatici. Si è cominciato così a parlare di una sindrome simil-influenzale, che poteva dare luogo a una grave polmonite se si era particolarmente predisposti.

L’OMS non vuole disseminare il panico per un virus di cui non sapevamo niente. Quanto è mortale? Non era possibile stabilire un grado assoluto di mortalità del nuovo patogeno. Possiamo ragionare per fasce d’età e associazioni con determinate patologie pregresse. Quanto dura l’immunità? Anche sulla capacità per tutti di sviluppare anticorpi e mantenerli nel lungo periodo non si avevano certezze. Pechino intanto comincia a utilizzare il plasma dei convalescenti come terapia, in mancanza di meglio.

La Johns Hopkins University mette online una mappa aggiornata in tempo reale del contagio nel mondo. La Cina si colora di rosso, soprattutto nelle regioni occidentali. Pian piano compaiono piccoli puntini rossi attorno al mondo, ma ancora l’OMS è riluttante a usare la parola «pandemia», ovvero un’epidemia estesa e fuori controllo in più continenti.

In Italia vengono accertati i primi due casi verso la fine di gennaio. L’Istituto Pasteur in Francia, isola per la prima volta in Europa il SARS-CoV-2, ripetendo quanto già fatto in Cina. Si apre la strada verso lo sviluppo di test diagnostici sierologici e molecolari per identificare con accuratezza i casi di Covid-19. Pian piano in tutto il Mondo viene ripetuto l’isolamento del virus.

Il plasma dei convalescenti non sembra efficace con tutti i pazienti, mentre se ne possono ricavare promettenti anticorpi monoclonali.

Come agisce la Covid-19 e come si diffonde

Quel che caratterizza la Covid-19 è la sua forma grave, una sindrome respiratoria acuta associata alla tempesta di citochine. Quando SARS-CoV-2 arriva nei polmoni, prendendo di mira i recettori ACE-2 delle cellule, scatena la risposta immunitaria del nostro organismo: i linfociti B rilasciano immunoglobuline M (IgM), che si attivano per prime nel riconoscere l’antigene virale; seguono le immunoglobuline G (IgG), la cui permanenza possiamo associare approssimativamente al percorso di convalescenza e guarigione.

Si attivano anche altre cellule, come i linfociti T e i macrofagi; li possiamo ereditare da precedenti malanni. Diversi studi suggeriscono che possano spiegare la presenza di asintomatici o individui immuni: è l’ipotesi della immunità cellulare. Si ipotizza quindi che anche i vaccini a Coronavirus comuni attenuati, potrebbero prevenire la malattia. Un recente studio di Science presenta invece evidenze di una cross-reattività delle immunoglobuline ereditate da precedenti infezioni da Coronavirus umani. Queste potrebbero altrettanto spiegare asintomatici e immuni.

Quel che invece fa scatenare nelle forme gravi l’infiammazione nei polmoni, si deve a una presenza eccessiva di citochine. Sembrerebbe spiegarsi con un mancato coordinamento delle principali linee di difesa, per l’appunto linfociti, IgM, IgG, macrofagi, eccetera. Over 65 e/o con patologie pregresse, avrebbero maggiori probabilità di una risposta immunitaria «confusa», determinando durata e gravità.

Nonostante l’alta trasmissibilità, inizialmente pochi pensano di applicare modelli di distanziamento sociale, promuovendo l’uso dispositivi di protezione come le mascherine chirurgiche. Per la verità scarseggiano in molti Paesi. In Italia inizialmente se ne scoraggia l’utilizzo, dando priorità agli operatori sanitari.

Non di meno, è prioritario soprattutto evitare che il virus diventi endemico. Così blocchiamo i voli dalla Cina. Tutti gli italiani provenienti da quel Paese vengono messi in quarantena. Eppure qualcosa non torna. Un mese prima del focolaio di Codogno erano state registrate delle «polmoniti anomale» in Lombardia. Inoltre, il giornalista italiano Cristiano Bernacchi di rientro dalla Cina passando per il Laos, denuncia di non aver subito controlli e si mette in auto-quarantena. Comincia ad aleggiare il dubbio di falle, che possano far precipitare la situazione. Ma noi come altrove cerchiamo ancora un paziente zero, e qualcuno suggerisce che possa provenire dalla Germania. Altri sostengono invece che abbiamo confuso un «virus padano» col SARS-CoV-2, tesi che si dimostrerà subito infondata.

Cristiano Bernacchi (l’uomo al centro) è il primo giornalista italiano a denunciare falle nei controlli anti-Covid delle frontiere.

Appiattire la curva: tra mascherine assassine e complotti sanitari

Noi non lo sapevamo ancora. Nessuno poteva. Mentre si cercavano superdiffusori, pazienti zero vari eventuali, e si tenevano in giro nel Mondo le navi da crociera ancorate al porto, coi passeggeri in quarantena; il virus si diffondeva esponenzialmente, anche grazie alla presenza di asintomatici e presintomatici, perfettamente infettivi. L’11 marzo l’OMS riconosce che questa è ormai una pandemia. All’epoca si contavano 118 mila casi in 114 Paesi.

Un altro problema con cui deve misurarsi l’Organizzazione mondiale della Sanità è quello della disinformazione dilagante sulla Covid-19, che presto battezza «infodemia». A fare danno anche la tendenza all’allarmismo e a dividere gli esperti. I media di massa pretendono risposte certe su aspetti complessi e ancora ignoti.

Prima di elencare le principali fake news più diffuse sulla pandemia, è bene chiarire cosa mettono a rischio. In tutto il Mondo e in tempi diversi, nei vari governi, si deve prendere atto del fatto che ormai il problema non riguarda più il controllo dei rientri dalla Cina. Nei Sistemi sanitari esiste un numero limitato di terapie intensive, occorre quindi appiattire la curva epidemica, in modo da tenere i casi da ospedalizzare sotto la linea media della capienza massima.

Non ci sono inoltre solo pazienti Covid-19 gravi È necessario garantire l’assistenza anche per altre patologie urgenti. I medici si trovano spesso a dover ricorrere al triage. Questo non consiste nel «scegliere chi salvare e chi lasciare morire», come abbiamo letto in certi titoli poco accorti. Col triage i medici salvano più pazienti, nei limiti che la natura della condizione clinica impone. L’anestesista Filippo Testa in una recente intervista ci ha spiegato molto bene di cosa si tratta.

Entra in gioco il modello SIR, che tiene conto della presenza dinamica di suscettibili, infetti e guariti; in modo da studiare strategie di distanziamento sociale. Ci vengono aiuto indici come R0 (tasso di riproduzione), che indica quante persone potrebbe contagiare mediamente un infetto. Con l’introduzione delle misure di contenimento si parla di Rt (indice di trasmissione), che indica quanto siamo in grado di ridurre la contagiosità del singolo.

Scopriamo quindi che le mascherine servono eccome. Si provvede ad aumentarne la fornitura, evitando che i cittadini se le fabbrichino da sé, o acquistino modelli non certificati. In generale la loro utilità è sociale: proteggono il prossimo da se stessi, nell’ipotesi di essere asintomatici, visto che anche i test diagnostici scarseggiano.

Wikimedia Commons | Flatten the curve.

L’infodemia in breve

Tutto questo è stato minato fin dagli esordi da una serie di articoli fuorvianti, da parte di complottisti e guru delle Medicine alternative. Una cifra di questa produzione è la pagina del progetto Open Fact-Checking dedicata all’infodemia, dove potete verificarle attraverso una barra di ricerca dedicata. Qui ci limitiamo a proporvi una piccola cernita:

  • I No vax sono tra i primi a riciclare le proprie narrazioni. Sostengono che i vaccini antinfluenzali abbiano aiutato la Covid-19 a diffondersi;
  • Altri cospirazionisti insinuano nei Social che il virus esistesse già e qualche casa farmaceutica avesse pronto il vaccino da anni. In realtà non si fa altro che confondere i brevetti riguardanti altri Coronavirus;
  • Ignorando le ricerche precedenti sulle zoonosi, alcuni discorsi di Gates vengono facilmente fraintesi. Anche precedenti simulazioni pandemiche diventano la prova che tutto fosse stato già architettato per imporre vaccinazioni di massa;
  • Arrivano anche omeopati e altri guru delle Medicine alternative, tirando l’acqua al mulino del proprio trattamento «miracoloso», come l’acido ascorbico e la vitamina D;
  • Tutti i movimenti che prima erano impegnati a demonizzare la rete 5G ora la associano alla Covid-19.
  • Riviste dalla discutibile peer-review riescono anche a pubblicare (salvo poi farlo sparire) uno studio dove presunti omeopati associano le onde elettromagnetiche alla gemmazione del Coronavirus nelle cellule;
  • Altri personaggi definiti propriamente «nano scienziati» mettono in guardia contro presunti eventi avversi delle mascherine. Associano il loro uso a cancro, acidosi, ipercapnia e tanto altro;
  • La speranza poi rivelatasi illusoria di far sparire il virus col caldo dell’estate porta alcuni a produrre ricerche molto limitate. In alcune si evincerebbero i presunti e mai dimostrati effetti benefici dei raggi UV.

A volte ritornano: i No vax sulle tesi complottiste riguardo al nuovo Coronavirus.

Come si cura: la corsa al farmaco

In attesa di vedere approdare alle fasi più avanzate della sperimentazione i primi vaccini anti-Covid, parte la corsa a terapie farmacologiche efficaci. Il plasma dei convalescenti non sembra funzionare con tutti, ma da questo è possibile ricavare anticorpi monoclonali. Al San Raffaele di Milano si studia per esempio il macrofago marvilimumab. Siamo nel mese di giugno, ed emerge nell’ambito del progetto britannico RECOVERY trial, un farmaco steroide denominato desametasone. Assieme a Lopinavir-Ritonavir utilizzati solitamente contro l’HIV, mostrano risultati promettenti contro la tempesta di citochine.

Intanto l’EMA (Agenzia europea del farmaco) dà il via libera a remdesivir, già utilizzato contro Ebola. Solo due mesi prima la pubblicazione di dati preliminari sulla sua sperimentazione in Cina avevano scatenato un putiferio, mostrando una presunta inefficacia. Parallelamente alle cure standard è possibile somministrare anche il tocilizumab, come emerge da uno studio di ricercatori italiani.

Su clorochina e idrossiclorochina si apre un dibattito feroce, reso più incattivito – e a volte pericoloso – dall’adesione acritica di Donald Trump. Tra presunte evidenze poi rimesse in discussione di eventi avversi e una efficacia minima se paragonata ad altri farmaci, in Italia il Consiglio di Stato italiano è arrivato recentemente a concedere la somministrazione, ma i medici curanti dovranno assumersene la responsabilità.

Giugno si rivela così essere il mese dei farmaci. Forti dell’incertezza dilagante, sono emerse fake news piuttosto pericolose, dove si affermava che i farmaci esistevano già, ma «non ce lo dicono, perché costano poco». Molto si deve al dilettantismo di diversi turisti, che pensano di aver trovato in alcune farmacie russe la soluzione alla pandemia. L’esempio più eclatante è quello di Arbidol (o Abidol).

La corsa al farmaco su cui spicca il Remdesivir.

La corsa al vaccino

Mentre imparavamo a «convivere» col nuovo Coronavirus, le case farmaceutiche non si sono limitate a scovare farmaci adatti, magari sdoganandoli da precedenti utilizzi terapeutici. La corsa al vaccino, partita da primi studi in vitro (nelle piastrine da laboratorio) e in vivo (con la Sperimentazione animale), porta diversi progetti di ricerca a varcare la soglia delle tre fasi cliniche, dove i vaccini più promettenti devono dimostrare sicurezza ed efficacia.

Riportiamo una nostra sintesi precedente, dove spiegavamo in cosa consistono le fasi di sperimentazione:

Si comincia sempre coi test preclinici, dove è indispensabile la Sperimentazione animale. Oggi più che mai è diventata evidente l’importanza di utilizzare degli organismi complessi, in qualche modo simili al nostro, perché una terapia non può dimostrare efficacia e sicurezza sulle sole piastrine da laboratorio. Gli esperimenti in vitro sono sicuramente importanti, ma come primo passo. Già il passaggio dagli esperimenti nelle colture cellulari ai test sugli animali, screma numerose idee che sembravano inizialmente promettenti;

A questo punto il vaccino passa alla Fase I, dove lo si somministra a un piccolo gruppo di persone perfettamente sane, magari del personale sanitario, cominciando a testarne efficacia e sicurezza, cosa che si ripeterà ovviamente nelle fasi successive;

Nella Fase II il numero di volontari a cui si somministra il vaccino comincia a essere più ampio, nell’ordine delle centinaia di persone, divise per gruppi con differenti caratteristiche, almeno uno di questi riceverà un placebo, così da scremare effetti dovuti alla suggestione o ad altri fattori non visti nelle fasi precedenti;

Nella Fase III si fa grosso modo lo stesso genere di test di quella precedente, ma con migliaia di volontari. Diventa fondamentale accertarsi che non vi siano significativi casi di eventi avversi.

A fare da padroni sono senza dubbio i vaccini che usano frammenti genetici, in particolare quelli a RNA. Questi contengono esclusivamente le istruzioni per produrre l’antigene. In questo modo saranno le stesse cellule a produrre il vaccino, costituito dalle sole proteine Spike (S). Così il nostro Sistema immunitario viene stimolato dalla presenza degli antigeni a produrre le difese immunitarie. Questo avviene senza che la presenza vera e propria del virus possa causare tutti quei sintomi tipici delle forme gravi di Covid-19.

Alcuni si limitano a utilizzare il frammento di RNA nudo e crudo (Moderna e Pfizer/BioNTech). Altri trasportano il filamento attraverso degli adenovirus resi incapaci di infettare, e per questo vengono chiamati vaccini a vettore virale (Oxford/AstraZeneca e Johnson & Johnson). Anche la Russia sembrerebbe essersi dotata di un vaccino, che denomina Sputnik V. Esistono tuttavia parecchi dubbi sulla sua effettiva efficacia, in parte dovuti alla scarsa trasparenza di Mosca.

IL vaccino russo Sputnik V è stato lanciato in pompa magna malgrado scarsi dati attendibili sulla sua reale efficacia. Chi prova a fare domande viene denigrato.

Tutti i paesi cominciano ad accaparrarsi le prime dosi dei vaccini più promettenti, che intanto ottengono l’autorizzazione a essere somministrati dalle autorità sanitarie competenti. In Italia il vaccine day è previsto per il 27 dicembre. Viene scartata presto l’idea controproducente di imporre un obbligo. Restano le incognite sull’adesione dei cittadini più esposti, a parte il personale sanitario, si chiede maggiore attenzione soprattutto verso gli over 65, come chiesto in un recente appello dell’associazione di scienziati Patto trasversale per la Scienza.

Si aprirà così la cosiddetta quarta fase di sperimentazione, quella dove si vedrà esattamente quanto durerà l’immunità e se saranno necessari ulteriori richiami. Soprattutto verranno accertati gli eventi avversi più rari, che non possono essere visti se non a lungo termine. Non di meno, la loro incidenza non è rilevante nel mettere a rischio la popolazione.

Pfizer | La corsa al vaccino.

I falsi miti sui vaccini anti-Covid

Una fase già minata da dubbi, spesso ingigantiti da fake news e teorie di complotto. Recentemente abbiamo fatto il punto sui principali falsi miti attorno ai vaccini anti-Covid, ve ne proponiamo una sintesi:

  • Non servono, perché tanto il 95% dei positivi è asintomatico. In realtà secondo Epicentro, su un 88% di casi, solo il 55,9% risulta asintomatico. Inoltre gli asintomatici sono contagiosi comunque;
  • I vaccini di moderna generazione modificheranno il nostro DNA. Non esistono evidenze nella letteratura scientifica. Il percorso che porta il DNA delle cellule a produrre RNA messaggero, non può essere invertito attraverso i vaccini a RNA. Questo genere di narrazioni contraddicono persino le più basilari conoscenze richieste alle matricole iscritte nelle Facoltà di biologia;
  • Tutti i vaccini contengono DNA di feti abortiti che provocano eventi avversi. Si tratta di una narrazione derivata da quelle circolanti soprattutto nei movimenti anti-aborto e pro-vita. Certamente alcune delle colture cellulari con cui isoliamo i Coronavirus sono derivate in passato da dei feti. Queste poi si moltiplicano in laboratorio, generando le linee cellulari. È quantomeno fantascientifico pensare che vengano fatte abortire in continuazione delle madri per produrre le linee cellulari. Non vi sono evidenze nella letteratura scientifica di vaccini contaminati da DNA fetale realmente collegati a eventi avversi;
  • Dopo una settimana dal richiamo non funzionano. Alcune associazioni di legali coinvolti nel business delle cause legali contro presunti «danni da vaccino», usano influencer che si improvvisano divulgatori. Alcuni di questi si sono cimentati nella lettura del bugiardino del vaccino di Pfizer, scoprendo che a una settimana dal richiamo non funzionerebbe. Pfizer semplicemente riporta i dati relativi ai 28 giorni dalla prima dose e a una settimana dalla seconda. Questo non significa che dopo quel periodo, improvvisamente una immunità stimata al 95% si azzeri del tutto;
  • Causano infertilità. Gli stessi influencer, data la mancanza di studi sulle donne in gravidanza, e la conseguente avvertenza a non somministrare il vaccino alle future madri (per prevenire cause legali dovute a correlazioni spurie), deducono che i vaccini anti-Covid causerebbero infertilità. Si tratta ovviamente di una sciocchezza.
  • In conclusione ricordiamo che i bugiardini non hanno valenza scientifica. Diversi eventi avversi vengono riportati proprio per mettersi al riparo da cause legali, data la facilità di usare delle correlazioni casuali come prove nei tribunali.

Crossover tra No vax e Pro vita: i vaccini anti-Covid coi feti abortiti.

Ringraziamenti

Durante questo sventurato anno, la sezione Scienze e il progetto Open Fact checking, non avrebbero potuto coprire con rigore tutte le news riguardanti il nuovo Coronavirus e la pandemia di Covid-19, senza il prezioso contributo di numerosi esperti. Ne riportiamo i nomi in questi ringraziamenti, come quelli che si vedono spesso negli studi scientifici che abbiamo analizzato con l’aiuto di alcuni di loro. Sono in ordine sparso, e se per caso ci fosse sfuggito qualcuno (o qualcuna), ce ne scusiamo.

Maria Rosaria Gualano (professoressa associata di igiene e medicina preventiva all’Università degli Studi di Torino); Alice Ravizza (ingegnera biomedica del Politecnico di Torino); Enrico Bucci (esperto del settore biofarmaceutico e professore della Temple University di Philadelphia, autore del sito Cattivi Scienziati); Stefano Zona (medico infettivologo dell’associazione IoVaccino); i medici e divulgatori Roberta Villa e Salvo Di Grazia (MedBunker), che ci hanno spiegato assieme a Zona le criticità reali dei vaccini, e dell’idea di istituire il loro obbligo; Diego Pavesio (medico e tesoriere di Patto trasversale per la scienza); Marco Gerdol (esperto di genomica comparata presso l’Università di Trieste); Filippo Testa (medico anestesista, curatore della pagina Facebook Pop Medicine); Luca Fanasca (Specializzando in Microbiologia e Virologia presso l’Università Federico II di Napoli); Stefano Prandoni (medico pediatra e debunker, curatore della pagina Fb L’influenza, questa sconosciuta); Enrico D’Urso (Fisico laureato presso l’Università di Torino, della pagina Fb La fisica che non ti aspetti.

Ha studiato per noi i grafici sulla pandemia); Daniel Puente (laureato in biologia presso l’Università di Trieste); Pellegrino Conte (professore ordinario di chimica agraria presso l’Università degli Studi di Palermo); Pierluigi Lopalco (professore di epidemiologia presso l’Università degli Studi di Bari); Pietro Olivieri (responsabile della Direzione Medica di Presidio Luigi Sacco di Milano); il il Dott. Dentali dell’ASST dei Sette Laghi di Varese; tutti gli operatori sanitari impiegati nell’assistere i pazienti degli appositi reparti Covid che hanno voluto raccontarci la loro esperienza.

ANSA/REGIONE LAZIO (EDITORIAL USE ONLY NO SALES) | La prima somministrazione del vaccino anti-Covid in Italia.

Foto di copertina: geralt | Il 2020 sarà ricordato per la pandemia di Covid-19.

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