Lavoro, tra esuberi, cassa integrazione e smart working: i promossi e i bocciati del 2020 – Il commento
Il 2020 sarà ricordato come una delle peggiori annate della storia recente nel campo del lavoro (e non solo). La pandemia da Coronavirus ha devastato interi settori economici e produttivi e ha messo in discussione molte certezze che sembravano incrollabili. Eppure non è stato tutto negativo, ci sono state luci e ombre. Proviamo a fare l’elenco delle cose da buttare e quelle da salvare dell’anno che stiamo per salutare.
Bocciati
Esuberi
Il divieto di licenziamento ha nascosto sotto il tappeto una delle conseguenze più drammatiche della pandemia: la distruzione di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Non parliamo di quelle attività che sono temporaneamente ridotte a causa delle misure di distanziamento sociale, ci riferiamo a quei settori che sono stati distrutti definitivamente dall’emergenza sanitaria e non ripartiranno mai più. Quando scadrà la moratoria sui licenziamenti questa realtà drammatica diventerà il tema centrale del sistema economico; dovremmo arrivarci preparati, con un serio piano di politiche attive, di cui purtroppo ancora non c’è traccia.
I precari dimenticati
La crisi occupazionale prodotta dalla pandemia non ha generato, almeno per ora, conseguenze devastanti su chi aveva un rapporto di lavoro stabile a tempo indeterminato, mentre ha spazzato via i lavoratori precari, quelli che avevano contratti ai limiti della regolarità (false partite iva, collaborazioni coordinate e continuative vicine al lavoro dipendente, falsi appalti, ecc.). I giovani, le donne, gli over 55 che lavoravano tramite questi rapporti hanno pagato subito il conto della crisi, perdendo immediatamente il lavoro senza avere alcuna reale tutela: niente cassa integrazione, zero ristori, al limite una mancia una tantum di poche centinaia di euro. Un furto di futuro in piena regola che nessuno denuncia.
La cassa integrazione a singhiozzo
Una delle prime misure prese dal governo per fronteggiare la crisi post Covid è stata l’estensione a tutti della cassa integrazione: una scelta che, nel breve periodo, ha avuto successo. Tale scelta, tuttavia, si è inceppata nel momento di concretizzare questo impegno: tra accordi sindacali, norme regionali e lungaggini burocratiche, si è verificato un inaccettabile ritardo nei pagamenti, che ha leso la dignità di chi attendeva quei soldi dall’INPS e ha compromesso il rapporto di fiducia con le istituzioni in un momento drammatico della nostra comunità.
Il modulo anti-Covid
La necessità di applicare i rigidi protocolli sanitari per prevenire la diffusione del Covid ha stimolato una delle più grandi passioni nazionali: il modulo. Non c’è ufficio, pubblico o privato, esercizio commerciale e luogo pubblico dove non siano comparse pagine e pagine di moduli che nessuno ha letto, firmati distrattamente senza conoscere il contenuto e significato. Moduli che hanno dimostrato la loro assoluta inutilità nel momento in cui è stato messo alla prova – con esiti fallimentari – il sistema di tracciamento dei contagi.
Il lavoro casalingo
Lo hanno chiamato smart working ma era qualcosa di molto più rustico e complicato: una forma di lavoro casalingo di emergenza, necessaria per scappare dall’aziende ma impossible da gestire per periodi più lunghi. Le conference call nello sgabuzzino, i messaggi a tutte le ore del giorno e della notte, la sequenza infinita di videochiamate su Teams, la scomparsa di qualsiasi rapporto umano, sono le caratteristiche di questa forma di lavoro casalingo che hanno reso dura, al limite dell’insostenibilità, questa forma di lavoro.
I ristori incompleti
I lavoratori autonomi, i commerciali e tutto il variegato mondo che sta fuori dal lavoro subordinato hanno dovuto prendere atto di un sistema che tutela in maniera pronta e tempestiva il lavoro dipendente mentre fatica a dare tutele adeguate a chi non sta sotto il grande ombrello dello statuto dei lavoratori. A un certo punto, molto tardi, hanno fatto la loro comparsa nella scena pubblica ristori di vario tipo che tuttavia non hanno colmato il gap di tutele tra mondi che stavano soffrendo le conseguenze dello stesso dramma e, anzi, si sono trasformate in un sistema indecoroso di mance di tutti i tipi.
Reddito di cittadinanza
Una misura importante e necessaria per combattere la povertà, che ha distribuito le tutele in modo diseguale, per via di una costruzione troppo burocratica e di un equivoco di fondo. Un fallimento certificato dalle file di fronte alle mense (per non parlare dei tanti casi di percettori abusivi del RdC).
I Navigator
Dovevano essere le sentinelle della riforma dei centri per l’impiego, la mitologica riorganizzazione delle strutture pubbliche di incontro tra domanda e offerta di manodopera che avrebbe dovuto accompagnare l’introduzione del reddito di cittadinanza, evitando di trasformare la misura in una forma di disincentivo al lavoro. I navigator sono state le prime figure a naufragare con l’emergenza sanitaria e non sono più riemersi dal limbo, giuridico e organizzativo, in cui sono precipitati. A breve torneranno al centro dell’attenzione mediatica non tanto per i lavoro che (non) trovano, ma perché si porrà il tema di trasformarli da precari in lavoratori stabili, con l’ennesimo paradosso: non ce l’hanno fatta a trovare un lavoro agli altri, ma almeno ci sono riusciti per se stessi.
Il decreto
È il titolo della fiction di maggior successo dell’anno. Quanti sono i Dpcm pubblicati per gestire la pandemia? Quanti i decreti legge? Quanti articoli, commi e atti subordinati? Tanti, troppi. Il diritto dell’emergenza ha prodotto un’alluvione di norme che, anche nel campo del lavoro, ha creato grossi problemi applicativi. Bisogna tornare alla normalità quanto prima.
Lo sciopero del venerdì
Lo sciopero degli statali del 9 dicembre sarebbe stato pienamente legittimo in un momento normale, ma è suonato – insieme ai tanti, troppi “scioperi del venerdì” come uno schiaffo a tutte quelle categorie di lavoratori colpite dalle pandemia. Sicuramente si tratta di agitazioni lecite, ma sulle loro opportunità ci sono molte riserve.
Promossi
La gig economy
Gli acquisti on-line, il food delivery, la sharing economy: cosa sarebbe stata la nostra vita durante la pandemia senza queste forme di economia digitale? Discusse, controverse, magnificate all’inverosimile o demonizzate all’eccesso. Quale che sia l’opinione che si può avere, non si può negare che senza di loro avremmo vissuto peggio. La scommessa del mondo post pandemia sarà quella di far convivere questa grande utilità con forme di organizzazione del lavoro sempre più sostenibili sul piano sociale.
L’innovazione digitale
Se le sbornie digitali hanno messo a dura prova il sistema nervoso di molti lavoratori, la digitalizzazione dei rapporti professionali ha prodotto e produrrà possibili vantaggi. Meno spostamenti per riunioni inutili, maggiore possibilità di conciliare vita privata e attività lavorativa aumento della produttività: le tecnologie digitali, se usate in modo equilibrato, possono migliorare in maniera incisiva la vita lavorativa.
Lo smart working
Il lavoro casalingo si è rivelato una forma sbagliata e inefficiente di smart working perché mancavano gli elementi essenziali di questa forma di lavoro: l’agilità, l’alternanza tra lavoro in ufficio e fuori, la possibilità di gestire il tempo in modo flessibile, la centralità degli obiettivi e dei risultati rispetto alla misurazione del tempo di lavoro. Appena il vaccino anti-Covid consentirà un allentamento delle misure di distanziamento sociale, bisognerà avviare il percorso di trasformazione del lavoro casalingo in vero lavoro agile, cogliendo i segnali positivi che si sono già visti nel 2020.
I protocolli sanitari
I luoghi di lavoro privati si sono rivelati un presidio importante ed efficiente contro la diffusione della pandemia: anche grazie alla grande vitalità delle relazioni industriali, i protocolli sanitari anti-Covid hanno funzionato bene, trasformando le imprese in luoghi sicuri.
Il lavoro flessibile
Mentre il precariato ha mostrato subito la sua faccia feroce, lasciando per strada i giovani, le donne e i lavoratori più fragili, durante la crisi si è vista per l’ennesima volta la differenza di tutele che offrono contratti di flessibilità regolare come il lavoro a termine e la somministrazione di manodopera, che hanno consentito a molti lavoratori di restare sui luoghi di lavoro con tutele adeguate o, nei casi peggiori, di essere coperti da un sistema di ammortizzatori sociali dignitosi.
La pizza d’asporto…
Molti bar e ristoranti sono sopravvissuti facendo una vera e propria rivoluzione organizzativa: pizzerie che per decenni avevano rifiutato anche di prenotare i tavoli o prendevano gli ordini solo per telefono hanno scoperto il food delivery, gli ordini via app e diavolerie varie, dimostrando che di fronte alla crisi si può provare a reagire con fantasia e innovazione. Lo stesso è accaduto per le palestre che hanno lanciato le videolezioni, e tante altre categorie che hanno avuto la forza e il coraggio di reinventarsi. Non sempre questi tentativi hanno avuto successo, ma il fatto che tanti ci hanno provato è il segnale che dà maggiore speranza per il futuro.
I giovani
Li hanno maltrattati, trascurati, sfruttati. Il sistema economico si è completamente dimenticato di loro, nella ricerca affannosa di rinforzare le tutele a chi già ne aveva molte. Eppure sono rimasti in piedi, solidi e stabili come non ce li saremmo aspettati. I giovani, la loro capacità di resistere e di adattarsi sono il vero arcobaleno che, insieme al vaccino, consente di salutare il 2020 con un filo di speranza.
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