Scuola, la protesta degli insegnanti no-Dad in piazza il 7 gennaio: «I nostri ragazzi si stanno spegnendo» – L’intervista
La scuola è ancora un campo di battaglia. Dal ritorno sui banchi di settembre, il fronte del sì-Dad (Didattica a distanza) e quello del no-Dad si sono scontrati nella terra di nessuno – quella, cioè, della procrastinazione cronica del governo. Anche ora che una data di ripartenza c’è, il 7 gennaio, la carta bianca concessa alle Regioni sui rinvii tiene impantanati studenti, docenti e personale Ata. E se sindacati e gran parte degli insegnanti chiedono maggiori sicurezze anti Covid prima di rientrare in classe, il comitato Priorità alla Scuola protesterà domani davanti ai cancelli degli istituti per accelerare le riaperture. «La battaglia per la scuola sicura si fa a scuole aperte», dicono. Altrimenti, avvertono, l’acronimo Dad si trasformerà definitivamente in quello che gli studenti già dicono: Dad = Dopo l’appello dormo.
La didattica a distanza ha salvato l’istruzione nei mesi più duri della pandemia e continua a proteggere il diritto allo studio di molti ragazzi in difficoltà. La paura del contagio è forte soprattutto tra i docenti: il 70% di loro teme di contrarre il virus in classe. Ma per la maggior parte degli studenti, che ormai da mesi si ritrova seduta davanti a un Pc per 5 ore, ha avuto effetti negativi importanti. «I miei ragazzi si stanno spegnendo», dice la professoressa Gloria Ghetti, una delle portavoce del Comitato. «Anche i migliori di loro hanno iniziato a cedere: mi dicono di avere attacchi di panico e di non riuscire a trovare la motivazione e la concentrazione».
I disagi psicologici «non sono più l’eccezione»
Ghetti insegna al liceo classico di Faenza. È stata tra le prime in assoluto a organizzarsi per fare didattica all’aperto dopo le chiusure autunnali. Inizialmente i suoi colleghi la guardavano perplessi, ma da dicembre in poi si sono uniti e hanno messo su un calendario di lezioni «a distanza ma in presenza». Mascherine, distanziamento, guanti, cappotti e termos. Gli studenti che si sono trascinati fuori dalle loro camerette per studiare nei parchetti cittadini sono stati progressivamente sempre di più. «Qualcuno di loro mi ha detto che prima la casa era un posto dove tornare – dice Ghetti – e che ora invece, complice la routine alienante, è un posto da cui scappare appena possibile».
Ghetti ha insegnato per 14 anni da precaria nelle professionali, e da 5 anni è di ruolo a un liceo classico. Di situazioni difficili ne ha viste molte, e ha potuto riscontrare in questi mesi come le misure emergenziali per contenere la pandemia stiano avendo effetti visibili. Conseguenze, che, sempre più spesso, coincidono con la dispersione e l’abbandono scolastico. Come ha dimostrato un rapporto di Save The Childern, in Italia il 28% degli studenti ha dichiarato che almeno un loro compagno di classe avrebbe smesso di frequentare le lezioni dal lockdown di questa primavera ad oggi. Tra questi, un quarto ritiene che siano addirittura più di 3 i ragazzi che non partecipano più alle lezioni.
Uno scenario che mette il carico a una base di partenza già problematica: il nostro Paese è tra i peggiori in Europa per percentuale di abbandono scolastico (14%). «Ci sono dei ragazzi per cui la scuola è l’unico strumento di emancipazione», dice Ghetti. «Vale per chi ha disagi economici, ma anche per gli stranieri che non possono più seguire le lezioni di italiano, per loro fondamentali».
Classi sicure?
Ma le preoccupazioni dimostrate dagli insegnanti pro-Dad non sono cosa da poco. E, nonostante le rassicurazioni di medici ed esperti sulla sicurezza delle aule, la pandemia non va presa sotto gamba: «Noi chiediamo un ritorno a scuola, ma questo non significa che non pretendiamo sicurezze», dicono dal Comitato. «Bisogna fare uno screening a tappeto e periodico di tutti gli studenti, come hanno già fatto Regioni virtuose quali Lazio e Toscana. E poi inserire tra le categorie prioritarie per il vaccino gli insegnanti a rischio per età o patologie». E poi controlli alle stazioni, monitoraggio continuo della temperatura. Ma senza dimenticare che la scuola ricopre un ruolo importante nell’educazione alle buone pratiche: «Noi insegnamo agli studenti come comportarsi. Le accortezze che avranno qui, le avranno anche fuori».
Immagine di copertina: ANSA / CIRO FUSCO
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