Il popolo dei Sì-Dad. 160 mila genitori e studenti firmano la petizione: «Perché non vogliamo che si torni a scuola» – Le interviste
Mentre il governo litiga sulla riapertura delle scuole, sono in tanti a chiedersi se sia il caso di ripartire adesso, nel pieno della seconda ondata e in vista di una terza. Infatti, mentre la ministra Lucia Azzolina non vede l’ora di riaprire le scuole, cresce il fronte dei Sì-Dad. E i numeri non mentono: sono oltre 160 mila quelli che hanno sottoscritto la petizione su Change.org lanciata da Unsic, sindacato che rappresenta, tra gli altri, anche docenti impegnati in alternanza scuola-lavoro e corsi di formazione. Non c’è solo la paura del Coronavirus ma anche del caos che si potrebbe generare alla riapertura delle scuole superiori «tra quarantene e sanificazioni». «Bisogna prevenire una terza ondata di contagi che sarebbe più deleteria delle precedenti soprattutto per la concomitanza con le influenze stagionali», spiegano.
La petizione
«Che senso ha mandare i nostri figli a scuola per qualche giorno, per qualche ora? Basterà un papà positivo per spingere i nostri ragazzi a non andare in aula. E questo, purtroppo, capiterà spesso», ci spiega Giampiero Castellotti di Unsic che, tra l’altro, ha anche due figli alle superiori. Per questo motivo, e per tanti altri, il popolo del Sì-Dad – che si definisce «una maggioranza silenziosa» e con «poca visibilità mediatica» – chiede la proroga della didattica a distanza almeno fino alla fine di gennaio.
«Prima gli insegnanti erano entusiasti di rientrare a scuola, adesso no coi contagi in aumento. Rischiamo di fare la fine del Regno Unito», aggiunge. In realtà – come documentato da Open – ci sono anche tanti altri docenti pronti a tornare in classe, costi quel che costi, perché «gli studenti si stanno spegnendo». E a sostegno di questa tesi c’è persino un’indagine di Ipsos e Save The Children secondo cui per i ragazzi delle scuole superiori quello in Dad è stato un anno sprecato.
Le ragioni del Sì
Niente è da buttare, invece, per il popolo del Sì che promuove, a pieni titoli, la didattica a distanza. Alla paura del Covid, infatti, si aggiungono altri problemi: la stagione invernale che «non consente di tenere aperte le finestre delle aule così da far arieggiare», i malesseri di stagione («al primo colpo di tosse cosa succederà?») e l’impossibilità, in caso di orari prolungati fino al pomeriggio, di «non prendere parte ad attività extra-scolastiche». Un problema soprattutto «per chi ha deficit di apprendimento». «Che scuola è questa? Un caos continuo tra ansie, quarantene e paura di infettare. Meglio aspettare ancora un po’, quando ci saranno più vaccinati. Prendiamo tempo, i ragazzi recupereranno in estate. Ne sono certo», precisa.
I ragazzi che vogliono proseguire con la didattica a distanza
Non solo insegnanti, dunque, ma anche ragazzi che non vorrebbero tornare alla didattica in presenza. Tra questi c’è Alessandro Geraci, studente che frequenta il terzo anno di liceo scientifico a Messina. «Non siamo andati in presenza due mesi fa e non capisco perché farlo adesso. Il problema non è dentro le scuole: preoccupano gli assembramenti all’uscita e i mezzi pubblici. Non le classi in sè. Solo nel mio liceo siamo in 1.500: con la didattica al 50 per cento si rimetterebbero in movimento 750 studenti aumentando, di fatto, il rischio di contagiare, ad esempio, genitori e nonni», ci spiega Alessandro Geraci secondo cui gli studenti andrebbero vaccinati il prima possibile. «Lasciarci alla fine non è stata una buona strategia. Siamo noi i vettori del virus. Vaccinare noi significa ridurre il contagio tutelando, di fatto, le categorie più fragili». E, invece, chissà quando verrà il turno degli studenti.
E ci sono anche i genitori pro-Dad
Tra i papà pro-Dad c’è, invece, Peppe Chiarella, genitore di un ragazzo di 15 anni, che non è assolutamente d’accordo con la riapertura delle scuole superiori prevista per l’11 gennaio: «Non porterò mio figlio a scuola perché non è sicuro. Parliamo di terza ondata e apriamo le scuole? Così sarà peggio. Dobbiamo scegliere tra la salute e la socialità. I nostri ragazzi recupereranno ma adesso non possiamo giocarci la generazione degli anziani». È bene ricordare che, secondo l’Iss, la scuola ha causato solo il 2 per cento dei focolai in tutta Italia e che il tasso di ospedalizzazione tra gli studenti è stato dello 0,7 per cento contro l’8,3 degli adulti. Una percentuale irrisoria.
Chiarella, però, ha ammesso più volte che questa situazione ha cambiato, in peggio, il carattere del figlio: «È difficile pure vederlo ridere. Sta sempre chiuso nella cameretta, la sua vita ormai è quella. Non sta più socializzando, è sempre in videochiamata». Ma, ci spiega, «se non vogliamo veder riempire di nuovo gli ospedali, dobbiamo soffrire per qualche altro mese». Ed è questo uno dei tanti problemi che sta causando il Covid: sta distruggendo psicologicamente i ragazzi. Chiusi in casa, da mesi lontani dalla scuola, dagli amici, dai primi fidanzamenti. Con l’obbligo di dover indossare la mascherina, con il divieto assoluto di abbracciare o baciare qualcuno. Un vero dramma.
La socialità viene meno anche con la didattica in presenza (ma limitata per ovvie ragioni), ci dice Alessandro. «Non abbiamo più ricreazioni, andate in bagno e, ad esempio, nel primo periodo della pandemia ci hanno persino divisi in tre gruppi. Potevo vedere, di persona, sempre a distanza, al massimo 7 compagni. Che socialità è questa? Che senso ha andare di presenza così? Nessuno di noi – aggiunge – vuole stare per sempre a casa anche perché questo virus ci ha privato di un “pacchetto” di emozioni, quelle tipiche dell’adolescenza, che nessuno potrà più ridarci».
Senza considerare, poi, i disagi per i professori nel dover gestire metà studenti a casa e metà a scuola con il rischio di avvantaggiare chi è in presenza e di lasciare indietro chi rimane dietro uno schermo tra «connessioni che saltano» e distrazioni casalinghe. «O tutti o nessuno, così si creano solo divisioni», conclude. E, mentre la petizione va avanti spedita, su Facebook spuntano anche i primi gruppi pro-Dad.
Foto in copertina di repertorio: ANSA/DANIEL DAL ZENNARO
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