Un nuovo impeachment per Trump? Così i democratici sperano di blindare le prossime presidenziali
«Trump 4EVA». A inizio febbraio 2020 Donald Trump aveva festeggiato il voto con cui il Senato lo aveva salvato dall’impeachment postando un video in cui apparivano i cartelloni della campagna elettorale di Trump dal 2024 fino all’infinito. L’auto-augurio di longevità politica è invecchiato male e dopo quasi un anno il presidente si trova a dover fare i conti con la possibilità di un nuovo processo d’impeachment visto che i democratici (e qualche repubblicano, come il senatore del Nebraska Ben Sasse) sembrano intenzionati a fargli pagare l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio, anche nel caso in cui il vicepresidente Mike Pence dovesse decidere di invocare il 25° emendamento della Costituzione e passare gli ultimi giorni del suo mandato cercando di sostituirsi a Trump. Ma il tempo stringe, visto che l’insediamento di Biden sarà il 20 gennaio, e i giorni a disposizione per una eventuale messa in stato di accusa del presidente sono davvero pochi.
C’è tempo per l’impeachment?
Come ha annunciato la speaker dei democratici alla Camera, Nancy Pelosi, visto che Pence non sembra intenzionato a rispondere alla loro richiesta di rimozione del presidente – sia perché significherebbe rinnegare gli ultimi quattro anni, sia perché sarebbe un processo lungo e difficoltoso che potrebbe far degenerare ulteriormente la situazione – entro la prima metà della settimana prossima si dovrebbe tenere un voto alla Camera – che si riunirà nuovamente lunedì 11 gennaio – sugli articoli di impeachment.
Come scrive la CNN, i democratici stanno elaborando una strategia che consentirebbe alla Camera di procedere con un voto entro due giorni, saltando le udienze. I vertici democratici di entrambe le Camere sembrano sposare questo approccio e ci sarebbe già una bozza di documento che circola in queste ore tra i corridoi del Congresso.
«Non abbiamo bisogno di un lungo dibattito», aveva detto mercoledì il leader democratico del Senato Chuck Schumer. A quel punto, quindi potenzialmente mercoledì 13 gennaio, se la Camera a maggioranza dem dovesse approvare gli articoli della messa in stato di accusa – proprio come fece nell’impeachment precedente, quando Trump era stato accusato di aver fatto pressioni sul presidente ucraino Zelensky per far avviare un’inchiesta nei confronti del figlio di Biden e quindi screditare il rivale politico – passerebbe al Senato, dove si aprirebbe il processo politico nei confronti del presidente.
Come è già stato scritto, per condannare Trump servirebbe una maggioranza di due terzi al Senato e, nonostante i democratici controllino anche la Camera alta del Congresso, non è detto che i numeri siano dalla loro parte. Infatti, al netto di alcune “defezioni” avvenute negli ultimi giorni – a partire dal gabinetto di Trump – ben 147 repubblicani tra Camera e Senato hanno votato per ribaltare il risultato elettorale, come ricorda il New York Times, anche dopo l’assalto al Campidoglio.
Pare più probabile che il leader dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell (che fino adesso non ha dato alcuna indicazione del contrario, proprio come Pence) faccia ostruzionismo al Senato, aspettando il decorrere del mandato di Trump a cui, a quel punto, resterebbe circa una settimana di tempo da passare alla guida del Paese. Anche Biden non sembra interessato a portare avanti l’impeachment. Come riporta sempre la CNN, un collaboratore del presidente eletto avrebbe detto che si tratta di una vicenda che riguarda il Congresso e che comunque «non aiuterebbe ad unificare il Paese». Diversi senatori repubblicani – anche lealisti di Trump come Lindsay Graham, che negli ultimi giorni hanno riconosciuto la vittoria di Biden – sembrano pensarla nello stesso modo.
L’impeachment impedirebbe a Trump di ricandidarsi nel 2024?
Tuttavia il processo a Trump potrebbe continuare anche dopo la sua uscita dalla Casa Bianca e l’insediamento di Biden. La Costituzione americana non prescrive infatti alcun limite temporale per la messa in stato di accusa che, in via teorica almeno, potrebbe applicarsi anche ad azioni compiute negli ultimi giorni della presidenza, anche se si scontrerebbe con il principio secondo cui un privato cittadino non può essere oggetto di una procedura di impeachment, come sottolinea il blog del Reiss Center on Law and Security della scuola di legge di NYU (sempre che un ex presidente possa essere considerato un cittadino comune). Ma a che pro, quindi, visto che a quel punto Trump non avrebbe più accesso ai codici nucleari?
A giudicare dai commenti dei democratici – a partire da Pelosi e Schumer – si tratta non soltanto di evitare che un presidente da loro giudicato instabile possa compiere gesti inconsulti negli ultimi giorni della presidenza, ma di una questione di giustizia. «Sarà impeached, giustizia verrà fatta» ha scritto su Twitter la deputata dem Ilhan Omar. Le fa eco Bernie Sanders, il senatore indipendente del Vermont, convinto che l’atto d’accusa servirebbe a stabilire un precedente importante, ovvero che nessun presidente può guidare un’insurrezione contro il Governo. Ma, al di là di questo, se il Senato dovesse condannare Trump, allora potrebbe anche vietargli di presentarsi alle elezioni nel 2024 o di ricoprire nuovamente un incarico politico.
Lo scrive Corey Brettschneider, professore di scienze politiche all’università di Brown, che ricorda che una clausola della Costituzione prevede anche l’interdizione da qualsiasi ufficio pubblico nei casi di impeachment. Inoltre, stando ai precedenti di voto del Senato, potrebbe bastare anche una maggioranza semplice e non di due terzi per “squalificare” Trump. Sono soltanto due i precedenti, ricorda Brettschneider: il primo nell’Ottocento e il secondo nel Novecento. Entrambi riguardano giudici federali che erano stati prima impeached e poi “squalificati” dal Senato. A quel punto a Trump resterebbe un’unica arma, quella di auto-concedersi una grazia (sempre che sia ancora alla Casa Bianca al momento del voto).
Ma si tratta di un’ipotesi dalla dubbia costituzionalità e per cui non ci sono precedenti. Anche se non ci sono neppure precedenti in cui un vicepresidente abbia invocato lo stato di infermità mentale o fisica per sostituire il presidente in carica, come Pelosi chiede a Pence di fare, o che un presidente degli Stati Uniti affronti non uno ma ben due processi di impeachment nell’arco del suo mandato.
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