Con la crisi di governo possono sfumare 20 miliardi di ristori. A rischio partite Iva e impianti sciistici
Può un governo dimissionario approvare uno scostamento di bilancio da 20 miliardi, praticamente una Manovra finanziaria? L’esecutivo avrà i numeri in parlamento – e la legittimazione giuridica – per intervenire con forza sul debito pubblico e garantire gli indennizzi alle attività penalizzate dal Coronavirus? Sono domande che trovano risposte (anche) nella Carta Costituzionale e che non potranno essere escluse dalla trattativa tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi, ai ferri corti su una serie di dossier, dall’impiego delle risorse del Recovery Plan alla delega ai servizi segreti che il presidente del Consiglio si è attribuito.
Mentre il leader di Italia Viva si appella al Partito democratico affinché non «si suicidi in nome della difesa del premier, che ha firmato con Matteo Salvini i decreti sicurezza e che si è proclamato populista e sovranista», il presidente del Consiglio sembra inamovibile e disposto a procedere alla conta in parlamento. Sullo sfondo, le due ministre renziane, Elena Bonetti e Teresa Bellanova, sono pronte da giorni a lasciare i rispettivi dicasteri. La crisi è dietro l’angolo, e nello stallo che può portare alla formazione di un nuovo esecutivo o allo scioglimento delle Camere, il governo rischia di dover rinunciare ad alcune misure chiave per contrastare l’emergenza economica.
I 20 miliardi che traballano
Il primo degli effetti dell’impasse politica rischia di essere la mancata approvazione del cosiddetto «decreto Ristori 5». Rifusi bar e ristoranti con il decreto Natale, l’esecutivo sta elaborando misure per risarcire le categorie rimaste escluse da quel provvedimento, fra cui i gestori degli impianti sciistici e i lavoratori autonomi. Senza l’approvazione di quei 20 miliardi, traballano le agevolazioni fiscali, la rottamazione quater delle cartelle esattoriali e l’anno bianco contributivo. Anche il bonus di mille euro per le partite Iva potrebbe evaporare se Conte e Renzi non dovessero trovare la quadra per far proseguire questa esperienza di governo.
La questione costituzionale
Venti miliardi vuol dire che «siamo davanti a un pezzo di bilancio, a tutti gli effetti: non credo che, se fossimo dimissionari, potremmo chiedere al Parlamento uno scostamento di bilancio per farvi fronte», dichiara un ministro del Pd a la Repubblica. Ma è anche la Costituzione a porre dei paletti alla libertà di manovra a un esecutivo in procinto di lasciare Palazzo Chigi. «Un governo dimissionario è chiamato a svolgere l’ordinaria amministrazione – sottolinea Beniamino Caravita, vicepresidente dei costituzionalisti italiani -. A quest’ambito sfugge uno scostamento di bilancio, equiparabile a un atto che, anche in funzione delle scelte fatte, esplica un indirizzo politico».
E i fondi del Next Generation EU?
E seppure Conte dovesse forzare le maglie della Costituzione e chiedere il voto ai parlamentari per utilizzare i 20 miliardi del nuovo decreto, non è detto che otterrebbe la maggioranza assoluta da entrambe le Camere. Una soluzione più agevole, in caso di dimissioni del governo, dovrebbe trovarsi per i 196 miliardi del Next Generation EU. In quel caso, potrebbe essere il parlamento stesso a far proprio il Piano nazionale di ripresa e resilienza, integrandolo e modificandolo, legittimando poi con una delega un primo ministro che lo presenterà a Bruxelles.
Chi decide le azioni di contrasto al Covid?
Un governo dimissionario con un presidente del Consiglio dai poteri fortemente limitati potrebbe comunque rispondere alle esigenze che la crisi sanitaria impone. «Su questo possiamo stare tranquilli – spiega Caravita a la Repubblica – Nell’ordinaria amministrazione, davanti a un’emergenza, non può non rientrare ciò che serve al Paese. Inimmaginabile un vuoto di potere. La controprova l’abbiamo con l’articolo 77 della Costituzione, che consente a un governo dimissionario di emanare decreti leggi e chiama addirittura le Camere già sciolte a riunirsi entro 5 giorni per approvarlo. Sì, anche se Conte dovesse dimettersi potrebbe firmare i Dpcm e il ministro Speranza i decreti che istituiscono le zone gialle, arancioni o rosse».
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