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Trump sospeso da Twitter, il dissidente russo Navalny: «Censura inaccettabile, si tratta di una scelta politica»

10 Gennaio 2021 - 14:23 Riccardo Liberatore
Il blogger russo, che più volte ha subito la censura del Cremlino, ha difeso il diritto del presidente in carica di continuare a esprimersi anche dal suo pulpito da 88,8 milioni di followers. Ma a condizioni che Twitter diventi più trasparente

Ennesima censura che intorbidisce ulteriormente la sfera dei diritti, oppure legittima imposizione a tutela della libertà? La decisione di Twitter di sospendere permanentemente l’account da quasi 89 milioni di followers di Donald Trump per «incitazione alla violenza» – sotto accusa i messaggi del presidente uscente degli Stati Uniti dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio – ha riproposto con forza il tema del ruolo editoriale dei giganti del web, in particolar modo di social network come Facebook e Twitter, nel dibattito pubblico. Un dibattito in cui si è inserito anche Alexey Navalny, il dissidente russo avvelenato dai servizi segreti russi (il Cremlino lo nega), con un thread su Twitter in cui prende una posizione inaspettata in difesa del diritto di Trump di continuare a parlare dal suo pulpito su Twitter.

Le accuse di censura

Navalny di censura ne sa qualcosa, visto che in più di una occasione il bavaglio gli è stato imposto anche con il carcere. Il nocciolo del suo ragionamento è che le regole di Twitter – come di altri social media – e la loro imposizione, non hanno valore se chi le applica non è sottoposto a vincoli (e meccanismi di controllo) trasparenti e degni di una società democratica. «Le elezioni sono un processo chiaro e competitivo. Puoi partecipare, puoi fare ricorso e vengono comunque monitorate da milioni di persone. La sospensione su Twitter è una decisione presa da persone che non conosciamo seguendo una procedura ignota. Si tratta di una scelta politica».

Qui non viene messo in discussione il diritto di una compagnia privata di applicare rigidamente le regole della propria community, ma di farlo «selettivamente». Infatti, anche se le regole di Twitter, come quelle di altre piattaforme, sono note – la scelta di bannare Trump è anche stata motivata con una nota scritta in cui si fa riferimento alla possibilità di nuovi episodi di violenza – non tutti coloro che le violano vengono puniti adeguatamente, dichiara Navalny. «Non ditemi che è stato sospeso perché violava le regole di Twitter. Io ricevo minacce di morte tutti i giorni da anni, senza che Twitter sospenda questi account (non che io lo chieda)». E poi ancora, sempre a proposito di selettività, si presenta il problema della “censura mancata” di altri politici: «Tra le persone che hanno account Twitter ci sono killer (come Putin o Maduro) e bugiardi e criminali (come Medvedev)».

La controproposta di Navalny

Un conto è la difficoltà di queste piattaforme di monitorare efficacemente il traffico e applicare le regole della community in modo equo – vedi i riferimenti di Navalny anche a chi diffonde fake news sul Coronavirus, a discapito della sicurezza di tutti i cittadini – un conto invece è lo strapotere delle stesse e il principio secondo cui possono erigersi ad arbitri del dibattito pubblico. Questa l’obiezione di Navalny a chi invece sostiene che stabilire un precedente in questo senso sia importante, che «era ora» che piattaforme come Twitter facessero qualcosa per moderare il dibattito che non fa altro che alimentare odio e divisioni, diventando una fucina per gli estremisti, che alla libertà di espressione c’è un limite e quel limite si chiama violenza, di ogni genere.

Ma forse esiste un compromesso che non è una via di mezzo tra due posizioni contrapposte. «Se Twitter e Jack [Dorsey ndr] vogliono fare le cose nel modo giusto, devono creare una sorta di comitato che possa prendere decisioni del genere. Dobbiamo conoscere i nomi dei membri dei questo comitato, sapere come funziona, come votano i membri e come fare ricorso contro le loro decisioni». Trasparenza, pesi e contrappesi, la “parlamentarizzazione” di Twitter. Affinché questo sia un precedente positivo e per scongiurare che che un domani le decisioni di un Zuckerberg o un Dorsey non possano essere utilizzate come pretesto dai leader di Paesi autoritari, come teme Navalny, per una nuova stretta sui diritti. Con una nuova giustificazione: «Anche Trump è stato bloccato su Twitter».

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