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Il paradosso degli specializzandi: reclutati gratis per la campagna vaccinale, in coda per ricevere le dosi

12 Gennaio 2021 - 07:00 Giada Ferraglioni
In prima linea fin dall’inizio dell’emergenza, i medici in formazione vengono ora usati come volontari per fare i vaccini. Ma sono gli ultimi a potersi proteggere

«Speranza ha fatto appello al nostro “buon cuore”. Ma l’unico messaggio che passa è che va bene non pagare i giovani per il loro lavoro. E che va bene anche trattarli da ultimi». Si apre un nuovo capitolo nella battaglia che i medici specializzandi italiani portano avanti per il riconoscimento dei loro diritti – e del loro valore. Dopo averli esclusi dalla possibilità di partecipare ai bandi del commissario Domenico Arcuri per il reclutamento dei medici vaccinatori, la Legge di bilancio li ha coinvolti “forzatamente” nella campagna vaccinale contro il Covid. La retribuzione prevista, però, è una manciata di Cfu, i crediti formativi universitari. Lavoro gratuito, ancora una volta, travestito da tirocinio. E con un aggravante: in molti ospedali saranno gli ultimi tra i sanitari a ricevere la dose.

Chi ha sperimentato in prima persona l’accaduto è Fabio, specializzando operativo in Sardegna. Fabio è un nome di fantasia: «In questa situazione – dice – meglio non esporsi troppo». Racconta che l’azienda ospedaliera di Cagliari (il quale policlinico, oltretutto, è anche un polo universitario) aveva inizialmente garantito che tutti i 500 medici in formazione avrebbero ricevuto il vaccino al pari dei medici assunti. Le cose, però, sono andate diversamente. L’ospedale ha iniziato con i sanitari dipendenti e poi ha deviato direttamente su altre categorie.

«Hanno vaccinato anche personale non sanitario, come i dipendenti del bar, prima di noi», racconta Fabio. «Prima di noi che siamo tutti i giorni nei reparti a tappare i buchi di una sanità in ginocchio», racconta. Quando hanno chiesto chiarimenti sulle tempistiche, il rettore non ha saputo dare nessuna indicazione. Quei pochissimi che sono riusciti a fare il vaccino, spiega Fabio, l’hanno ricevuto a fine giornata perché l’azienda non voleva «sprecare le dosi avanzate».

Contratti e privilegi

ANSA/PAOLO SALMOIRAGO

Come testimoniato dal medico specializzando Salvatore Mazzeo dell’associazione Chi Si Cura di Te?, la discriminazione abbraccia chiunque non abbia un rapporto di lavoro solido: giovani medici assunti con partita iva, professionisti reclutati con contratti Co.co.co. E poi medici delle Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale anti-Covid, popolate dai cosiddetti camici grigi (lavoratori precari). «Nonostante il nostro lavoro nei reparti Covid – dice Mazzeo – il criterio che si segue sembra essere quello contrattuale. E questo non è accettabile, perché discrimina un’intera generazione di medici che oltretutto sta sacrificando la propria formazione per dare un contributo all’emergenza sanitaria».

Fare i vaccini senza riceverli

Non che gli specializzandi non vogliano prendere parte alla campagna, certo. Quella che viene contestata è l’impossibilità di essere assunti tramite il concorso – e poter ricevere, quindi, il giusto compenso per il lavoro svolto. Nella finanziaria c’è scritto chiaramente che, all’interno del percorso formativo, il medico specializzando potrà fare 1 mese di tirocinio come medico vaccinatore. La loro posizione, dunque, li rende inspiegabilmente incompatibili con il bando di Arcuri, ma non con la funzione che dovranno svolgere da volontari per sopperire alla mancanza di personale.

Attualmente l’impegno è sotto forma di obbligo, ma il ministro della Salute Roberto Speranza e quello dell’Università Gaetano Manfredi si sono detti disponibili a renderlo volontario. Di retribuzione, però, non se ne parla. E la volontarietà, quando si è specializzando, è un concetto fragile: «Viste le poche forme di tutela che abbiamo, siamo facilmente soggetti a ricatti», spiega Mazzeo. «Se il direttore della scuola chiede che tu faccia il medico vaccinatore, tu farai il medico vaccinatore».

Gli ultimi saranno gli ultimi: i casi di discriminazione

Da quando hanno iniziato a occuparsi della questione, racconta Mazzeo, l’associazione ha raccolto numerose segnalazioni di discriminazione. Oltre ai casi di Cagliari e Sassari, c’è stato quello di Monza, dove l’Azienda ospedaliera ha comunicato tramite e-mail che a ricevere per primi il vaccino sarebbero stati i dipendenti ASST e FMBBM. «Il restante personale, inclusi gli specializzandi – si leggeva nel testo – dovrà prenotarsi nelle sedute successive».

E poi il caso ancora più eclatante di Ancona, dove inizialmente l’azienda ospedaliera aveva permesso agli specializzandi di prenotarsi ed essere inseriti nel calendario delle vaccinazioni. Salvo poi fare un passo indietro all’ultimo momento senza una spiegazione plausibile:

Buongiorno,
Dobbiamo comunicare che per un errore di carattere tecnico non è stato possibile avvertire le S.S. L.L.. che la Loro prenotazione potrà essere effettuata solo dopo la prenotazione dei dipendenti dell’Azienda di ruolo sanitario in assistenza, in applicazione delle priorità stabilite dalle linee guida ministeriali.
La invitiamo pertanto a riprenotarsi nel momento in cui verranno riaperte le prenotazioni per il periodo successivo al 18 gennaio, cosa che presumibilmente avverrà il 4 gennaio.

Cordiali saluti e auguri di Buon Anno.
Ospedali Riuniti di Ancona”.

Scenari simili si sono visti anche a Roma (policlinico Umberto I e ospedale di Tor Vergata, entrambi poli universitari) e a Messina. Tutte le situazioni si sono risolte grazie unicamente alle pressioni delle associazioni di categoria. Rimane invece in piedi il caso della delibera della Regione Lazio, che ha stabilito la classifica delle priorità mettendo gli specializzandi al terzo posto poiché «non direttamente coinvolti nell’assistenza». Cosa non vera, dice Mazzeo, visto che su tutto il territorio ci sono medici in formazione che operano nei reparti Covid.

Come è stato possibile?

Ma come è stato possibile che sanitari della prima linea – che per decreto hanno pari diritto a ricevere le dosi dei vaccini – siano finiti in fondo alle categorie prioritarie? «Regioni e Asst giustificano questa discriminazione con una errata lettura delle linee guida ministeriali», spiega Mazzeo. «Alcune aziende associano il concetto di “prima linea” a quello di “medici dipendenti”. In realtà non è così: noi siamo stati spostati nei reparti Covid fin dall’inizio dell’emergenza».

«Non si tratta di un capriccio», dice la dottoressa Federica Viola, vicepresidente vicaria di Federspecializzandi. «Noi ci siamo messi al servizio del SSN fin dall’inizio. Ma questo atteggiamento per cui in Italia i giovani vengono messi sempre all’ultimo posto non ci sta bene. Da come verremo trattati oggi dipenderà il futuro della nostra Sanità».

Immagine di copertina: ANSA / FILIPPO VENEZIA

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