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Irlanda, il rapporto che fa luce sulle violenze negli istituti religiosi per ragazze madri: 9 mila bambini morti a causa dei maltrattamenti

13 Gennaio 2021 - 00:01 Cristin Cappelletti
56mila donne, dal 1922, sono state chiuse in questi istituti religiosi, gestiti da suore, in cui l’Irlanda cattolica rinchiudeva le madri con figli nati fuori dal matrimonio. L’indagine svela le torture, gli abusi e le morti. Verrà presentata nelle prossime ore al Parlamento di Dublino dal premier

Un’inchiesta durata quasi sei anni, tremila pagine, e i numeri di un passato con cui l’Irlanda prova ora a fare i conti. È stato pubblicato oggi il rapporto che fa luce sugli abusi e le torture compiuti in Irlanda tra il 1922 e il 1998 in 18 case per ragazze madri sparse in tutto il Paese. I dati pubblicati nel report rivelano che nell’arco di 70 anni sono circa 9 mila i bambini o i neonati morti in queste case, gestite da suore, a causa dei maltrattamenti e delle difficili condizioni di vita.

Chi viveva nelle mother and baby homes soffriva di malnutrizione, malattie e miseria, con altissimi livelli di mortalità. Molti dei piccoli non riuscivano a sopravvivere a quegli stenti e una volta morti i loro corpi venivano disposti in modo piuttosto sbrigativo all’interno di fosse comuni, tra l’altro senza alcuna indicazione delle loro identità. Nel 2017, a Tuam, nella contea di Galway, era stata ritrovata una fossa comune in uno di questi istituti, che in base allo studio dei certificati di morte conteneva i resti di circa 800 bambini.

A partire dal 1922 sono state quindi 56 mila le ragazze e le donne mandate a vivere in questi istituti in cui l’Irlanda cattolica rinchiudeva le madri con figli nati fuori dal matrimonio. Il documento sarà presentato nelle prossime ore al Parlamento di Dublino dal premier Michéal Martin, accompagnato da un atto ufficiale di scuse da parte dello Stato, che quegli istituti sovvenzionò a lungo.

«Ho aspettato decenni per questo momento – il momento in cui l’Irlanda rivela come decine di migliaia di madri non sposate, come me, e le decine di migliaia dei nostri amati figli, come il mio caro figlio Anthony, siano stati fatti a pezzi, semplicemente perché non eravamo sposate al momento della loro nascita», ha raccontato la sopravvissuta Philomena Lee, la cui vicenda è stata narrata nel film omonimo.

Tuttavia, il timore di molte organizzazioni e associazioni di sopravvissuti è che il rapporto possa banalizzare quanto avvenuto veramente in quelle case famiglia. «Lo Stato e la chiesa hanno lavorato di concerto per garantire che le donne, madri e ragazze non sposate, che erano ritenute una minaccia per il tono morale del Paese, fossero incarcerate dietro queste mura per garantire che non avrebbero offeso la moralità pubblica», ha dichiarato alla rete nazionale RTE Susan Lohan, co-fondatrice di una di queste associazioni.

Foto copertina: EPA/JULIEN BEHAL | Il premier Micheal Martin presenta i risultati della Commissione d’inchiesta sulle case per ragazze madri

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