Usa, il rifiuto del vicepresidente Pence di esautorare Trump apre la strada all’impeachment: oggi il voto alla Camera
Da una parte c’è Donald Trump che non mostra alcun segno di pentimento, dall’altra c’è il Congresso che marcia con crescente convinzione verso il suo secondo impeachment. Ieri durante la sua prima visita ufficiale dall’assalto al Campidoglio, Trump non ha tentato di scusarsi, rifiutando l’idea che fosse in qualche modo responsabile per aver incitato la folla. «Le persone pensano che quello che io ho detto era totalmente appropriato», ha dichiarato ai giornalisti in Maryland, mettendo la rivolta del 6 gennaio sullo stesso piano degli scontri avvenuti a Portland e a Seattle tra la polizia e i manifestanti che marciavano per Black Lives Matter. Anzi, per il presidente in carica sarebbero state le elezioni truffa prima e la procedura di impeachment poi a fomentare «tantissima rabbia».
Pence dice no alla rimozione di Trump
Per il momento però il vicepresidente Mike Pence ha deciso che non prenderà misure drastiche nei confronti del suo capo, nonostante tra i due si sia consumato uno scontro durissimo, dopo che Trump lo ha criticato pubblicamente per non essersi rifiutato di certificare i risultati dell’elezioni presidenziali del 3 novembre. Martedì la Casa dei rappresentanti ha votato per chiedere formalmente a Pence di invocare il 25esimo emendamento della Costituzione per rimuovere Trump dall’ufficio ovale con circa una settimana di anticipo. La risoluzione, presentata dal rappresentante dem Jamie Raskin è stata approvata con una maggioranza di 223 voti a 205 e ha raccolto il sostegno di un solo deputato repubblicano, Adam Kinzinger dell’Illinois.
Ma Pence aveva già mandato una lettera alla speaker della Camera, Nancy Pelosi, in cui sosteneva che dichiarare Trump «incapace di adempiere ai suoi doveri», come veniva chiesto dai dem, «non era nelle migliori intenzioni della nazione e neppure coerente con la Costituzione». «Esorto lei e ogni membro del Congresso a evitare azioni che dividerebbero ulteriormente e infiammerebbero le passioni del momento», ha aggiunto. Ma nei fatti il “no” di Pence ha aperto la strada al secondo impeachment di Trump. E in questo caso anche i repubblicani potrebbero essere d’accordo.
La strada verso l’impeachment passa per McConnell
Il primo segnale importante lo ha dato il leader dei repubblicani al Senato, nonché numero 1 (dopo Trump) nel partito dell’elefantino: il senatore Mitch McConnell. Secondo il New York Times infatti il senatore del Kentucky sarebbe d’accordo con la messa in stato di accusa del presidente perché aprirebbe la strada alla sua epurazione dal partito. Inoltre, scrive sempre il quotidiano newyorchese, anche il leader dei repubblicani alla Camera dei rappresentanti fedelissimo di Trump, Kevin McCarthy della California, ha detto che pur non essendo d’accordo con l’impeachment, non chiederà ai repubblicani di votare contro, così come non lo faranno neppure gli altri leader del partito.
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Oggi la Camera dovrebbe approvare l’articolo dell’impeachment presentato l’11 gennaio, con il sostegno di almeno una ventina di repubblicani. Tra loro ci dovrebbe essere anche Liz Cheney, figlia dell’ex vicepresidente degli Stati Uniti Dick, che in una nota scrive in riferimento ai fatti del 6 gennaio «nulla di tutto questo sarebbe successo senza il presidente». Poi la sfida dovrebbe passare al Senato, dove si aprirà il processo e dove serve una maggioranza di due terzi per condannare Trump. Nel frattempo, dopo la sospensione di Facebook e Twitter, anche YouTube (di proprietà di Google) ha sospeso il canale di Trump per una settimana, ovvero fino alla vigilia dell’insediamento di Biden.
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