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Uno studio «bomba» dichiara il vaccino Pfizer efficace tra il 19% e il 29%? Non è nemmeno uno studio

15 Gennaio 2021 - 12:56 Juanne Pili
Lo strano caso di un editoriale su uno studio scientifico che ridimensiona l’efficacia dei vaccini anti-Covid

In un articolo apparso su Il Giornale, condiviso da alcune pagine Facebook di disinformazione, viene rilanciato il presunto studio, firmato da una sola persona: il professor Peter Doshi sul British Medical Journal, rivista di cui scopriremo essere l’editore associato.

Il Professore invitava le case farmaceutiche Pfizer e Moderna a non parlare di un 95% di efficacia per i loro vaccini anti-Covid tramite comunicati aziendali. Doshi esigeva che prima venissero pubblicati degli studi veri e propri, relativi ai dati completi su tutti i volontari.

Si tratta di una critica condivisibile, che noi stessi abbiamo sostenuto, assieme a diversi esperti, come Enrico Bucci. Se da un lato si richiedono studi veri e propri, negli ambiti non accademici risulta ancora difficile fare distinzione tra un editoriale, un comunicato aziendale e un vero studio scientifico. Ecco quanto riportato da Il Giornale:

«”L’efficacia tra il 19% e il 29%”. Ecco lo studio che rivede i vaccini». Nel testo leggiamo invece che «una vera e propria bomba è stata lanciata proprio ieri dal British Medical Journal».

Dunque, stando a questa ricostruzione la «bomba» sarebbe che uno «studio» ridimensiona le stime di efficacia annunciate da Pfizer e Moderna nei loro comunicati, portandoli dal 95% a valori che si aggirano tra il 19 e 29%. Sarà vero? Non proprio.

Per chi ha fretta:

  • Gli editoriali non sono studi scientifici, nemmeno se sono firmati da professori;
  • Il 26 novembre 2020 il professor Peter Doshi, editore associato del British Medical Journal, pubblica nella stessa rivista una sua «opinione» sulla reale efficacia dei vaccini di Pfizer e Moderna;
  • Il 4 gennaio 2021 lo stesso autore pubblica un nuovo articolo – non uno studio – dove ipotizza che l’efficacia dei vaccini delle case farmaceutiche potrebbe aggirarsi tra il 19 e il 29%;
  • Il 13 gennaio Il Giornale paragona l’articolo di Doshi a uno studio scientifico «bomba», senza esserlo.
  • Doshi non sostiene di aver dimostrato alcun che. Ha solo un comprensibile atteggiamento critico, esattamente come tanti altri colleghi nel Mondo.

Analisi

Innanzitutto dovremmo chiederci di quale «studio» parla Il Giornale. Quello che linka è sbagliato, infatti da nessuna parte leggiamo percentuali tra il 19% e il 29%. Quelle riportate poi si riferiscono soprattutto ai presunti eventi avversi. Inoltre si tratta di un articolo del 26 novembre 2020.

Quale sarebbe la fonte? Il Giornale ci è d’aiuto riportando un estratto dell’articolo:

«”Anche dopo aver tolto i casi verificatisi entro 7 giorni dalla vaccinazione (409 sul vaccino Pfizer vs 287 sul placebo), che dovrebbe includere la maggior parte dei sintomi dovuti alla reattogenicità del vaccino (l’efficacia ndr) a breve termine, questa rimane bassa e arriva 29%. L’unico dato attendibile – dice Doshi – per capire la reale capacità di questi vaccini, sono i casi di ospedalizzazione, i pazienti in terapia intensiva e i decessi”».

Dalle parole chiave arriviamo alla fonte originale del 4 gennaio 2021. Riportiamo un estratto identico a quello citato dal quotidiano, in lingua originale:

«Even after removing cases occurring within 7 days of vaccination (409 on Pfizer’s vaccine vs. 287 on placebo), which should include the majority of symptoms due to short-term vaccine reactogenicity, vaccine efficacy remains low: 29%».

La parte riguardante l’estremo più basso del 19% è poco sopra:

«With 20 times more suspected than confirmed cases, this category of disease cannot be ignored simply because there was no positive PCR test result. Indeed this makes it all the more urgent to understand. A rough estimate of vaccine efficacy against developing covid-19 symptoms, with or without a positive PCR test result, would be a relative risk reduction of 19%».

Ad ogni modo, si tratta sempre di un editoriale, propriamente inserito nella rubrica «opinioni», come il precedente, con tanto di conflitto d’interesse riportato onestamente alla fine del testo:

«Ho perseguito il rilascio pubblico dei protocolli di sperimentazione dei vaccini e ho co-firmato lettere aperte che chiedono indipendenza e trasparenza nel processo decisionale relativo al vaccino covid-19».

Da buon scienziato Doshi considera le sue battaglie per la trasparenza in tema vaccini, dei bias, e le cita nei conflitti di interesse. Tanto di cappello. Tuttavia, le percentuali che espone sono ipotesi. In nessun modo cerca di farle apparire diversamente.

Il Giornale cita vagamente altri articoli, comparsi sia sulla rivista di Doshi, sia su The Lancet. Questi però riguarderebbero critiche riguardo la carenza di «trasparenza sui dati». E questo ci sta, lo spiegavamo all’inizio. Doshi non è il primo né l’unico a presentare queste rimostranze, che sono emerse immediatamente dopo la pubblicazione dei comunicati di Pfizer, Moderna e altre case farmaceutiche.

La spiegazione dell’articolo di Doshi

Enrico Bucci, adjunct professor presso la Temple University di Philadelphia, titolare della società di revisione degli articoli scientifici Resis srl, spiega in un post Facebook l’articolo di Peter Doshi sul vaccino Pfizer, condividendo l’appello nel rendere completamente trasparenti e completi i dati dei clinical trials e spiegando che viene posta un’ipotesi su un tasso di errore «del tutto irrealistico» al solo scopo di richiamare l’attenzione sulla necessità di avere tutti i dati in maniera trasparente.

Nelle sue conclusioni spiega, in maniera chiara, l’intenzione di Doshi:

Per quanto riguarda questo primo argomento di Doshi, mi pare chiaro, anche dalle sue stesse parole, che egli abbia utilizzato volutamente un caso limite irrealistico ed un argomento paradossale, per richiamare correttamente l’attenzione sul fatto che i dati vanno forniti comunque tutti (anche quelli sui 3410 “sospetti COVID-19”); il che non significa affatto ciò che tanti credono di capire, assumendo due bufale in un colpo solo – che la PCR sia soggetta ad un tasso di falsi negativi di oltre il 90% e che il vaccino Pfizer sia stato autorizzato con un’efficacia inferiore al 50%. Sono pronto a ricredermi, se i dati dovessero smentirmi; ma, per ora, mi pare che essi puntino in tutt’altra direzione rispetto a certi commenti e blog, pur su riviste prestigiose come BMJ.

Riportiamo di seguito la spiegazione completa di Bucci:

Sulla base della scoperta che nei documenti FDA circa il trial del vaccino Pfizer sono nominati 3410 casi di “sospetto COVID-19”, e sulla base del fatto che questi sono molti di più dei casi confermati lusati per calcolare l’efficacia del vaccino, sostiene Doshi che l’efficacia potrebbe essere molto più bassa – addirittura solo il 19% – perchè queste migliaia di casi di “sospetto COVID-19” si distribuiscono in maniera quasi uguale tra vaccinati e non vaccinati. Queste migliaia, chiaramente, peserebbero molto, molto di più dei meno di 200 casi confermati, se fossero effettivamente casi di COVID-19.

Tuttavia, le cose non stanno così, ed infatti Peter Doshi scrive nel suo editoriale del 4 gennaio:

“If many or most of these suspected cases were in people who had a false negative PCR test result, this would dramatically decrease vaccine efficacy. But considering that influenza-like illnesses have always had myriad causes—rhinoviruses, influenza viruses, other coronaviruses, adenoviruses, respiratory syncytial virus, etc.—some or many of the suspected covid-19 cases may be due to a different causative agent. “

Perchè Doshi è costretto a riferirsi ai “sospetti COVID-19” come a persone che hanno avuto un test di PCR, risultato falsamente negativo?

Perchè il fatto che i “sospetti COVID-19” siano persone sintomatiche e negative alla PCR, è confermato dai documenti FDA ove egli ha trovato la notiza dei 3410 casi di “sospetto COVID-19”. I documenti infatti riportano quanto segue:

“Efficacy is being assessed throughout a participant’s follow-up in the study through surveillance for potential cases of COVID-19. If, at any time, a participant develops acute respiratory illness, an illness visit occurs. Assessments for illness visits include a nasal (midturbinate) swab, which is tested at a central laboratory using a reverse transcription-polymerase chain reaction (RT-PCR) test (e.g., Cepheid; FDA authorized under EUA), or other sufficiently validated nucleic acid amplification-based test (NAAT), to detect SARS-CoV-2.”

Dunque se quei 3410 fossero veri COVID-19 e quindi i calcoli di Doshi fossero giusti, dovremmo pure ipotizzare che siano tutti falsi negativi alla PCR; 3410 positivi persi (ovvero falsi negativi) contro 200 positivi (veri) trovati, usati per calcolare l’efficacia del vaccino dalla Pfizer; ma questo tasso di errore della PCR è del tutto irrealistico.

Stando così le cose, la previsione di una sostanziale bassissima efficacia del vaccino Pfizer (19% o 29% escludendo “sospetti COVID-19” trovati nella prima settimana dopo la prima dose), ricavata dal considerare i “sospetti COVID-19” come falsi positivi alla PCR, è certamente falsa.

Perché questa notizia?

Come mai alcune testate stanno rilanciando le critiche di Doshi adesso, a nove giorni dal suo editoriale? Difficile farsi un’idea. Un’ora prima dell’articolo de Il Giornale pubblicava Global Times, facendo semplicemente una antologia delle critiche mosse dal Professore il 4 gennaio.

Contrariamente a Il GiornaleIl Fatto Quotidiano riporta un’informazione più corretta contestualizzando l’articolo di Doshi:

«Lo scienziato lancia una “bomba” e lo fa scrivendo nella sezione “opinion” del prestigioso British Medical Journal. In pratica, Doshi mette in dubbio l’efficacia dei due vaccini stimata dalle aziende intorno al 95 per cento».

Il termine «bomba» usato da entrambe le testate italiane ci ha incuriositi parecchio. Global Times per esempio non lo usa. Da dove sarà venuto fuori? Be’, scopriamo che il termine potrebbe derivare da un articolo de Il Salvagente, del 7 gennaio scorso, che a onor del vero contestualizza meglio la fonte, riportando data e tipologia esatta:

«Fine della premessa, necessaria a raccontarvi quella che molti scienziati in tutto il mondo e in casa nostra stanno definendo “una bomba”. Esplosa tra addetti ai lavori (e non ci sembra ancora emersa nell’opinione pubblica) il 4 gennaio scorso, quando sul British medical journal è stata pubblicata l’opinione di Peter Doshi, editore associato dell’autorevole giornale medico internazionale, dal titolo “Peter Doshi: Pfizer and Moderna’s “95% effective” vaccines—we need more details and the raw data” (Pfizer e Moderna “95% di efficacia” – abbiamo bisogno di dettagli e dati grezzi)».

Sarà un caso. Lo riportiamo giusto perché la coincidenza ci sembra straordinaria. Uno dei siti di frequente consultazione da parte dei teorici del complotto, Luogocomune, aveva pubblicato un post il 29 novembre dedicato proprio al primo editoriale di Doshi. Il tono del testo ci sembra molto simile a quello degli articoli dei quotidiani nostrani:

«Il British Medical Journal, una delle riviste più prestigiose del mondo, insieme a Lancet, fa a pezzi i vaccini antiCovid, almeno per quello che sono oggi. Manca una trasparenza complessiva sui dati né è chiaro se funzionino davvero. Non sono stati arruolati sufficienti anziani, persone immunodepresse, bambini, per capire gli effetti, né sono chiari quelli sul periodo medio lungo. In più le ricerche adottate dai vari gruppi che ci stanno lavorando non vanno nella direzione di dimostrarlo».

Ora veniamo alla parte davvero curiosa, anche se trattasi probabilmente di pura coincidenza. Leggendo tra i commenti, troviamo quello dell’utente «mik300», che risulta essere il primo ad aver usato il termine «bomba» associato a tutta questa vicenda:

«È come iniettarsi una bomba a tempo., lì x lì sembra funzionare, ma quando il sistema si ingrippa, sei spacciato. Questa è l’impressione».

mik300 | «una bomba a tempo».

Conclusioni

Siamo di fronte all’evidente mancanza di uno «studio bomba». Ad essere «disinnescato» è il termine «studio» usato in ambito giornalistico per un articolo di «opinione» dove veniva posto un esempio estremo per spiegare l’importanza della trasparenza nell’ambito scientifico. Doshi, infatti, utilizza questa strategia comunicativa per alzare l’attenzione sul tema, ma non dimostra affatto l’efficacia del vaccino Pfizer tra il 19% e il 29% come invece vogliono affermare altri utilizzando il suo articolo in maniera impropria.

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